Dovrà essere uno strumento snello e a buon prezzo e non costituire il solito debito sul groppone delle generazioni future. L'Italia dovrà rispettare i patti con una nuova politica condivisa atteso che l'Europa non ci regalerà nemmeno un centesimo sulla fiducia.
Il Recovery Fund e’ lo strumento più volte richiesto dall’Italia con l’obiettivo di arginare l’impatto devastante del coronavirus. Oggi più che mai comprendere cos’è il Recovery Fund, come funziona e qual’è il suo vero significato è estremamente importante alla luce delle più recenti discussioni sul tema. Le misure proposte in sede Ue sono del tutto insufficienti per far fronte alla crisi italiana. Il Pil italiano quest’anno scenderà del 13%, cioè produrremo 200 miliardi di ricchezza in meno dell’anno scorso. L’anno prossimo il Pil crescerà, ma non tornerà ai livelli pre-crisi, dunque occhio all’allarme. Per fronteggiare questo crollo è necessaria l’immissione di una quantità di risorse “aggiuntive” dell’ordine di 250 miliardi tra 2020 e 2021.
A fronte di queste necessità, il Recovery Fund sarà disponibile nella sostanza solo a partire dal 2021 e spalmato su almeno due anni. Nel 2020 restano disponibili solo le risorse nazionali e l’eventuale ricorso a Mes, Sure, ed altre forme di credito minori. Dal 2021 entrerà in vigore il Recovery Fund con 90 miliardi di prestiti (ovvero soldi da restituire) e 81 miliardi a fondo perduto.
Già ad aprile scorso il premier Giuseppe Conte lo aveva definito come una parte essenziale nella trattativa con l’Unione europea ma da allora sono cambiate molte cose. In linea di massima, esso potrebbe essere definito come uno strumento pensato per sostenere l’economia dei Paesi più colpiti dalla crisi pandemica.
Soltanto da poco la Commissione UE ha presentato la sua proposta da 750 miliardi di euro che ha inevitabilmente portato a chiedersi cos’è davvero il Recovery Fund, come funziona e qual’è il motivo del contendere sul suo significato. Discussioni che, tra le altre cose, hanno nuovamente messo in luce le differenze interne del blocco. Non è altro che un fondo di recupero. Questo il significato letterale di Recovery Fund, strumento più volte richiesto dall’Italia con l’obiettivo di arginare l’impatto devastante della crisi. MES, Meccanismo Europeo di Stabilità ed Eurobond, sono sempre crediti ma che funzionano in maniera diversa e sarebbero ben più dannosi del Recovery.
Il finanziamento del fondo è stato progettato attraverso la raccolta di liquidità data dall’emissione dei Recovery Bond. Per dirla con le stesse parole del Presidente del Consiglio Conte il Recovery Fund funziona in maniera molto semplice: “…Un fondo per la ripresa con titoli comuni europei per finanziare la ripresa di tutti i Paesi più colpiti, tra cui l’Italia…”.
Per sapere invece come funzionerà a tutti gli effetti bisognerà attendere ancora. Come anticipato, all’interno dell’Unione europea sono state avanzate diverse proposte in merito. Quella della Commissione UE ha descritto un fondo composto sia da finanziamenti che da concessioni di denaro a fondo perduto ma ora spetterà ai 27 Paesi decidere o meno se approvarlo.
Come molti hanno già previsto è probabile che il confronto sul credito europeo si protrarrà per tutta l’estate e soltanto una volta raggiunta l’intesa, forse in autunno, si saprà a tutti gli effetti cos’è sul serio il Fondo di Recupero e quale sarà il suo funzionamento definitivo.
Nonostante i dettagli debbano essere ancora discussi e approvati, occorre fin d’ora fare i conti con alcune spiacevoli certezze sul fondo. Infatti i contributi a fondo perduto e i prestiti agevolati saranno erogati dalla Commissione solo sulla base di piani di investimento credibili e dettagliati che dovranno essere presentati dai singoli Stati già in autunno (in occasione della Legge di Bilancio) e aggiornati ogni semestre. Tanto per essere chiari.
I fondi saranno erogati (a partire dal 2021) a rate perché subordinati alla verifica della reale capacità di esecuzione delle riforme, così l’intero processo sarà sottoposto all’attento monitoraggio delle istituzioni europee. In sintesi: nulla sarà donato subito e senza condizioni. Posta in questi termini la partita del Recovery Fund diventerà a breve per il Governo e per l’intera classe dirigente italiana uno storico “test di maturità“, sicuramente tra i più impegnativi e complessi della storia repubblicana.
Servirà una visione strategica che consenta di cambiare radicalmente approccio rispetto ai classici vizi italici dell’assegnazione di fondi a pioggia e dell’uso dei fondi comunitari per coprire buchi di bilancio profondi come caverne. Sarà necessaria una capacità di progettazione terribilmente diversa da quella mostrata finora da Ministeri, Regioni ed enti locali nell’uso dei fondi comunitari. Fatto questo che potrà determinare la perdita di quasi la metà dei finanziamenti relativi alla programmazione comunitaria 2014-2020 disponibili per l’Italia.
Dovrà elaborarsi un modello innovativo di “progettazione condivisa” che coinvolga fin dall’inizio in modo serio le associazioni d’impresa (a partire da Confindustria) ed i sindacati.
Prevarrà il pessimismo della ragione o l’ottimismo della speranza? Non lo sappiamo. Però riteniamo che sia opportuno sperare che i fondi che verranno attribuiti all’Italia non debbano costituire una ulteriore ipoteca per le future generazioni. Cosi come è accaduto nel passato. E se davvero vogliamo costruire un’Italia diversa.