Una delle tante versioni che, però, non sciolgono un ginepraio sempre più intrecciato
Foibe e diaspora Giuliano/Dalmata: due tragedie della nostra storia contemporanea che sino a trent’ anni fa erano sconosciute alla maggior parte degli italiani .
La caduta del Muro di Berlino e la fine della guerra Fredda con l’avvento della seconda Repubblica hanno aperto il vaso di Pandora e a metà degli anni Novanta la congiura del silenzio (come è stata poi definita dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel 2007) è terminata. Le foibe sono pozzi ovvero cavità carsiche originate dalla forza erosiva dell’acqua e che possono raggiungere la profondità anche di parecchie decine di metri .
Entrano nella storia dopo l’armistizio dell’ 8 Settembre 1943 ed in seguito al periodo di anarchia che ne è seguito ovvero quando i partigiani jugoslavi del maresciallo Tito, i famigerati Titini, approfittavano del vuoto di potere in Istria, Dalmazia e Venezia Giulia per regolare i conti con la popolazione italiana ritenuta fedele al regime fascista. Da questa convinzione scaturirono sommari rastrellamenti nelle case, processi sommari con fucilazioni e condanne a morte per infoibamento.
Decine di persone venivano condotte sull’ orlo dei pozzi, legate per le mani con del filo di ferro a cui erano ancorati anche gli altri disgraziati cosi da creare una catena umana. Il macellaio di turno sparava in testa al primo individuo della fila che cadeva nella foiba trascinandosi appresso tutte le altre. Fra i poveri martiri c’era chi moriva prima di cadere chi spirava perché gravemente ferito o chi rendeva l’anima a Dio rimanendo penzoloni dentro l’enorme voragine dove rimaneva per giorni accanto ai cadaveri dei compagni. C’era anche chi riusciva a risalire in superficie per poi fuggire e testimoniare cosi il massacro etnico. L’infoibamento viene sospeso quando i Tedeschi riprendono il controllo dei territori ma poi la guerra finisce e Tito occupa Trieste nella primavera del 1945 . Sono quaranta giorni terribili, non c’ è pace per gli italiani e più in generale per tutti coloro che si opponevano alla politica imperialista del Maresciallo che voleva annettere la Venezia Giulia alla Jugoslavia .
I Titini cercavano di eliminare i rivali politici all’ interno del CLN (comitato di Liberazione nazionale), ovvero coloro che non seguivano le direttive del Partito Comunista italiano e che dopo la guerra potevano costituire un problema per le loro aspirazioni egemoniche. Finirono nelle foibe anche sinceri antifascisti che non simpatizzavano affatto per il futuro dittatore. Si cercò dunque di colpire l’etnia italiana in Istria e Dalmazia al punto che tra il 1946 ed il 1949 ebbe a verificarsi un massiccio esodo di ben 350.000 italiani che lasciarono quelle terre dove avevano vissuto e lavorato per raggiungere la nostra penisola .
Accolti in campi/profughi simili a baraccopoli furono discriminati dagli stessi fratelli italiani di fede partigiana perché accusati di simpatizzare per il regime fascista e colpevolizzati, ironia della sorte, per avere lasciato il “paradiso comunista”. Si calcola che le vittime delle Foibe furono complessivamente circa 10.000, conteggiando anche coloro che perirono nei campi di prigionia di Goli Otok, Borovnica ed altri e durante le marce forzate per raggiungerli .
A partire dagli anni Cinquanta cala il silenzio su queste tristissime vicende, la Jugoslavia diventerà un paese comunista non allineato, Tito ha rotto con Stalin ed è ben visto dalle potenze occidentali impegnate a combattere l’Unione Sovietica durante la guerra fredda. Lo stesso PCI non vuole rivangare una vicenda scomoda che ha visto Togliatti tenere un comportamento ambiguo durante i quaranta giorni di Trieste in nome dell’ internazionalismo comunista . E poi, dopo il Trattato di Osimo, ci sono buoni rapporti con lo stato Jugoslavo che devono essere mantenuti a tutti i costi dunque perché rivangare il passato specie se scomodo? Soltanto il Movimento Sociale Italiano di Giorgio Almirante, in tutto l’arco costituzionale, riuscirà a mantenere viva la memoria di questi terribili accadimenti, anche per motivi di convenienza politica e per contrattaccare il negazionismo comunista.
Lo sdoganamento della Destra italiana e la nascita di Alleanza Nazionale dopo il congresso di Fiuggi con Gianfranco Fini come segretario, hanno riportato le foibe e la diaspora Giuliano/Dalmata all’attenzione generale, tanto che nel 2004 veniva stata istituita la giornata del Ricordo che cade il 10 Febbraio. Le forze della sinistra ex comunista che in passato avevano ostacolato la commemorazione degli eventi lanciavano segnali di distensione con il capo dello Stato Giorgio Napolitano e con il presidente della Camera Luciano Violante che incontrava Fini a Trieste ponendo le basi per una memoria storica finalmente condivisa.
Ancora oggi le foibe alimentano però polemiche e divisioni al punto che l’associazione nazionale Partigiani, sezione di Parma, avrebbe sponsorizzato un convegno con l’intenzione di ridimensionare gli eventi con sedicenti esperti storici, spalleggiati dalle forze di estrema sinistra, che cercano di rivedere le tesi oggi comunemente condivise. Tra questi ultimi riveste un ruolo di particolare importanza il professore universitario italo/sloveno Joze Pirjevec che nel 2009 ha pubblicato con la casa editrice Einaudi il libro Foibe, una storia d’ Italia .
Pirjevec ridimensiona nella sua opera sia l’eccidio delle foibe che la diaspora Giuliano/Dalmata, sminuendo la responsabilità dei partigiani e delle autorità slovene e puntando invece il dito contro gli Italiani.
“…A perdere la vita nelle foibe sarebbero stati esclusivamente criminali fascisti e vittime di faide famigliari ed in numero nettamente inferiore a quello indicato da altri storici come il nostro Gianni Oliva..”. Ma non solo: “…Norma Cossetto era una fascista convinta e venne uccisa perché si rifiutò di collaborare con il movimento di liberazione partigiano, il suo corpo venne ripescato nudo ma intatto dalla foiba in cui fu gettato e non furono perpetrate sevizie nei suoi confronti..”. E ancora: “…Gli italiani che lasciarono l’ Istria e la Dalmazia non furono discriminati ma decisero di lasciare le loro case ed i loro beni perché non accettavano di vivere in un nuovo stato dove erano considerati alla pari con gli jugoslavi, mentre in passato si erano comportati verso gli sloveni come gli americani del sud verso gli schiavi di colore…” .
Così scriveva Pirjevec nel suo saggio, suscitando l’ indignazione di tutta la comunità Giuliano/Dalmata che oggi risiede in Italia .
Chi scrive ha conosciuto Pirjevec durante la presentazione del libro a Genova ed ha potuto notare che l’uomo, non solo il saggista, nutre un forte sentimento anti-italiano, a tratti un odio vero e proprio. Probabilmente retaggio dell’occupazione fascista in Istria e Dalmazia, prima e durante il secondo conflitto mondiale.
Lo stesso Gianni Oliva riconosce che il comportamento del fascismo verso la minoranza slava non fu certo tenero ad iniziare dall’incendio dell’Hotel Balkan – sede dell’ associazione culturale slovena a Trieste – subito dopo la Grande Guerra, sino alla politica ipernazionalista che il regime perseguì in quei territori dove venne proibito l’ insegnamento della lingua slovena nelle scuole a vantaggio di quella italiana. Ed anche le stesse foibe furono inaugurate proprio dai fascisti per gettarvi i loro oppositori.
Tutto questo non esclude però le responsabilità dei partigiani Titini e del loro capo per quelli che furono considerati universalmente crimini atroci. Può essere stato un tentativo di genocidio oppure una semplice violenza di stato, ma niente e nessuno possono e devono cancellare una delle pagine più tristi della nostra storia . E le polemiche, inutili e sterili, che sono state alimentate da movimenti politici e da intellettuali da strapazzo che hanno la presunzione di riscrivere la storia a loro uso e consumo non forniscono certo un buon esempio morale alla comunità italiana e slovena.