Con questa delega fiscale le disuguaglianze rischiano di crescere. Finalmente è arrivata la notizia che tutta la stampa “mainstream” aspettava con trepidazione: la Camera dei deputati, nella seduta del 4 agosto scorso, ha approvato in via definitiva la legge Delega al governo per la riforma fiscale.
Roma – In questo modo si intende perseguire la semplificazione e la stabilità del sistema di tassazione. Almeno questo è l’intendimento del governo. Per gli osservatori più critici il sistema sarà meno progressivo di quanto fosse prima e l’Irpef ancora più inefficace, perché vantaggiosa solo per alcune categorie di contribuenti.
Com’è noto l’imposta sul reddito delle persone fisiche (Irpef) è quella dovuta dai contribuenti per il possesso dei seguenti redditi: fondiari, cioè dei fabbricati e dei terreni, di capitale e di lavoro dipendente (inclusi i redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e i redditi di pensione). La riforma, in realtà, esacerberebbe alcuni aspetti della nostra economia. I dati dimostrano che le disuguaglianze sociali ed economiche sono aumentate dal 2008 ad oggi.
Il PIL (Prodotto Interno Lordo) in mano ad una ristretta cerchia di “super ricchi”, infatti, è aumentato dal 2,7% del 2008 a 4,2% del 2015. Una percentuale quasi raddoppiata, frutto di rendite finanziarie, locazioni immobiliari, lavoro autonomo e proventi aziendali come amministratori. Nello stesso lasso di tempo, invece, il 50% dei meno abbienti di nostri connazionali, si è visto decurtato il salario o lo stipendio in termini assoluti di quasi il 30%.
Questa sorta di “tsunami sociali” non è dovuto a qualche maledizione divina o al destino cinico e baro. Ma a precise scelte di politica economica: tagli alla sanità e all’istruzione. Inoltre, al contrario di quanto afferma la Costituzione, il sistema fiscale si è trasformato in regressivo. Tanto che il 5% più agiato dei contribuenti italiani versa un’aliquota effettiva più bassa del resto della popolazione. Da come è stata distribuita l’IRPEF tra i contribuenti, è palese che i lavoratori dipendenti versano un’aliquota maggiore rispetto agli autonomi e, soprattutto, a coloro che percepiscono redditi da capitale.
Con la riforma fiscale prevista dal governo – sempre secondo gli analisti più critici – la progressività dell’IRPEF si è quasi annullata, tanto da pesare quasi totalmente sui lavoratori dipendenti. Difatti sono stati introdotti, oltre al trattamento “uniforme di tassazione” dei redditi finanziari, regimi forfettari per i lavoratori autonomi e le piccole imprese a tutto svantaggio della crescita dimensionale delle imprese stesse, mentre incoraggiano l’evasione, diminuendo le sanzioni amministrative e penali per gli evasori.
L’Italia sembra essere una “Repubblica fondata sul condono”. Tra quelli fiscali ed edilizi nessun governo si è mai sottratto a questa tendenza. Nemmeno questo in carica. Se il fisco rappresenta la cartina di tornasole di un pensiero politico, quello che emerge dalle ultime disposizioni legislative riferite al fisco è, quantomeno, scoraggiante. Al contrario, il nostro Paese, necessiterebbe di misure per ridurre le disuguaglianze sociali e per spostare il carico fiscale sui ceti più abbienti.
Secondo certuni si potrebbe allargare la base imponibile dell’IRPEF che ne incrementerebbe la progressività, aumentando il prelievo sulle rendite fiscali, cambiare l’imposta di successione, che tra i Paesi Ocse è tra le più basse ed, infine, inserire un’imposta patrimoniale per i più ricchi degli italiani. Invece, come al solito, paga sempre Pantalone. Perché, come scrisse Ettore Petrolini (attore, drammaturgo, sceneggiatore e scrittore italiano del secolo scorso): “Bisogna prendere il denaro dove si trova: presso i poveri. Hanno poco, ma sono in tanti”.