“Fili d’erba nelle crepe”: cresce la povertà nel rapporto Caritas, è emergenza casa

Oggi il numero di famiglie in condizioni precarie al Nord supera quello dei nuclei nel Meridione, anche se l’incidenza è più alta al Sud.

Roma – Cresce la povertà assoluta in Italia, specialmente al Nord. Oggi il numero di famiglie povere al
settentrione supera quello di famiglie povere al meridione, anche se l’incidenza è più alta al Sud. Sono alcune delle informazioni contenute nel 28° Rapporto sulla povertà di Caritas, presentato questa mattina. “Fili d’erba nelle crepe. Risposte di speranza” è il titolo scelto per il volume, che dà spazio non solo ai dati sui bisogni, ma anche alle risposte della società civile e della Caritas in particolare. “Nonostante le criticità che sfaldano il nostro vissuto quotidiano, si intravvedono nelle crepe dei fili d’erba verde, dei segnali di speranza, le tante riposte, opere e servizi messi in campo dalla Chiesa, dalla società civile, dall’associazionismo e dal volontariato, e che contribuiscono con il loro apporto a rendere più umano e dignitoso il nostro vivere”, si legge nel Rapporto.

In uno scenario tragico generale, quello che viene mostrato è l’emergenza casa nel nostro Paese. ”Nell’assenza di un piano nazionale di rilancio delle politiche abitative, – denuncia la Caritas nel nuovo rapporto 2024 sulla povertà – il disagio attorno alla dimensione casa continua a permanere ad alti livelli”. In Italia un milione e mezzo di famiglie vive in abitazioni sovraffollate, poco luminose e senza servizi come l’acqua corrente in bagno. Il 5 per cento dei nuclei fa fatica a pagare le rate del mutuo o l’affitto e le bollette. Di questi, la maggior parte non ha una casa di proprietà. Le sentenze di sfratto per morosità nel 2023 sono state 30.702 rispetto alle 33.522 del consuntivo 2022. Le sentenze per morosità restano la principale motivazione di sfratto: sul totale delle nuove sentenze, quelle per morosità sono pari al 78%.

L’83% degli edifici residenziali è stato costruito prima del 1990 e il 57% risale a prima degli anni ’70. Gli edifici in classe F e G sono più del 60%. Per adeguarsi alle direttive UE serviranno investimenti tra gli 800 e i 1.000 miliardi di euro. Presso i centri di Ascolto Caritas, la dimensione abitativa risulta il terzo tra i problemi riportati, coinvolgendo il 22,7% dell’utenza in Italia (su un totale di circa 270mila beneficiari dell’azione Caritas). Tale percentuale aumenta al 27% se si considerano solo le persone straniere mentre si riduce al 17,6% se si osservano i nuclei con cittadinanza italiana, segnale di una costante discriminazione nell’accesso alla casa che riguarda ormai qualsiasi ambito territoriale. Eppure, le risposte istituzionali diminuiscono: dal 2022, i due pilastri delle politiche abitative socioassistenziali (Fondo locazioni e Fondo morosità incolpevole), non sono stati più rifinanziati.

Ogni anno le Caritas diocesane implementano 70/80 progetti socioassistenziali sul tema casa, che coinvolgono non solo le Caritas ma anche associazioni, cooperative o altri enti presenti nei territori. In 6 anni (escluso il 2020 per la pandemia) sono stati realizzati 386 progetti, pari ad un impegno di oltre 42 milioni di euro tra 8xmille e cofinanziamenti delle diocesi. I target di riferimento spaziano dagli anziani ai senza dimora, dalle famiglie straniere ai giovani studenti fuori sede. Sulla base degli ultimi dati Istat sulla povertà in Italia, recentemente presentati, oggi in Italia vive in una condizione di povertà assoluta il 9,7% della popolazione, praticamente una persona su dieci. Complessivamente si contano 5 milioni 694mila poveri assoluti, per un totale di oltre 2 milioni 217mila famiglie (l’8,4% dei nuclei).

Il dato, in leggero aumento rispetto al 2022 su base familiare e stabile sul piano individuale, risulta ancora il più alto della serie storica, non accennando a diminuire. Se si guarda infatti ai dati in un’ottica longitudinale, dal 2014 ad oggi la crescita è stata quasi ininterrotta, raggiungendo picchi eccezionali dopo la pandemia, passando dal 6,9% al 9,7% sul piano individuale e dal 6,2% all’8,4% sul piano familiare. Una questione tutt’altro che meridionale: dal 2014 al 2023, infatti, il numero di famiglie povere residenti al Nord è praticamente raddoppiato, passando da 506 mila nuclei a quasi un milione (+97,2%); se si guarda al resto del Paese la crescita è stata molto più contenuta, +28,6% nelle aree del Centro e +12,1% in quelle del Mezzogiorno (il dato nazionale è di +42,8%). Oggi in Italia il numero delle famiglie povere delle regioni del Nord supera quello di Sud e Isole complessivamente.

L’incidenza percentuale continua a essere ancora più pronunciata nel Mezzogiorno (12,0% a fronte dell’8,9% del Nord), anche se la distanza appare molto assottigliata; nove anni fa la quota di poveri nelle aree del Meridione era più che doppia rispetto al Nord: 9,6% contro il 4,2% . La povertà “ereditaria” In Italia più che nel resto d’Europa le difficoltà economiche sembrano destinate a perpetuarsi di generazione in generazione. Chi è cresciuto in famiglie svantaggiate tende a trovarsi, da adulto, in condizioni finanziarie precarie. Un circolo vizioso che colpisce il 20% degli adulti europei tra i 25 e i 59 anni che, a 14 anni, vivevano in una situazione economica difficile. In Italia, il dato sale al 34%, segno di un’eredità che pesa sul futuro. Valori più alti di povertà ereditaria si raggiungono solo in Romania e Bulgaria (Eurostat).

Minori poveri e lavoratori poveri Caritas lancia l’allarme poi sui numeri della povertà minorile, oggi ai massimi storici: il 13,8%, ovvero il valore più alto della serie ricostruita da Istat (era 13,4% nel 2022) e di tutte le altre fasce d’età. Complessivamente si contano 1milione 295mila bambini poveri: quasi un indigente su quattro è dunque un minore. Preoccupa poi il dato sull’intensità della povertà: i nuclei dove sono presenti bambini appaiono i più poveri dei poveri (avendo livelli di spesa molto inferiori alla soglia di povertà).

Preoccupa poi l’aumento dei “working poor”: continua infatti a crescere in modo preoccupante la povertà tra coloro che possiedono un impiego. Complessivamente tocca l’8% degli occupati (era il 7,7% nel 2022) anche se esistono marcate differenze in base alla categoria di lavoratori; se si ha una posizione da dirigente, quadro o impiegato l’incidenza scende al 2,8%, mentre balza al 16,5% se si svolge un lavoro da operaio o assimilato (dal 14,7% del 2022). Quest’ultimo in particolare è un dato che spaventa e sollecita, segno emblematico di una debolezza del lavoro che smette di essere fattore di tutela e di protezione sociale.

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