Speculazioni finanziarie e soldi delle elemosine impiegati per scopi tutt’altro che umanitari. Uno scandalo che non finisce più e che rischia di coinvolgere anche altre persone. Alla sbarra dal numero tre della santa sede ai faccendieri che non godevano di buona reputazione nell’ambito degli affari vaticani.
Roma – Gli scandali in Santa Sede non hanno tempo. Dai Borgia ad oggi, tanto per fare un esempio, passando da Paul Marcinkus e le sue scorribande goderecce, la morte di Papa Luciani, la scomparsa di Mirella Gregori ed Emanuela Orlandi, in ordine cronologico, sono soltanto alcune delle vicende più nebulose nelle quali il coinvolgimento del Vaticano e di alcuni prelati di spicco ha lasciato basito il mondo intero.
L’ennesimo affare sporco che riguarda il vile denaro è costato a monsignor Angelo Becciu, ex cardinale e già sostituto alla Segreteria di Stato del Vaticano, ben otto capi d’imputazione. Il numero tre del Sacro Soglio è stato infatti accusato, fra l’altro, di peculato, abuso d’ufficio e subornazione di teste.
Becciu (privato delle prerogative cardinalizie da Papa Francesco già un anno fa), che sin da subito si è dichiarato estraneo ai fatti e disposto a spiegare tutto già nella fase istruttoria durante la quale, evidentemente, non ha convinto gli inquirenti, è stato rinviato a giudizio in buona compagnia.
Gli altri imputati, accusati di truffa ed estorsione in danno della Santa Sede, sono la sedicente “007” Cecilia Marogna; Fabrizio Tirabassi, già funzionario della Segreteria di Stato, gli affaristi Gianluigi Torzi e Enrico Crasso; monsignor Mauro Carlino, reggente dell’ufficio documentazione della segreteria di Stato; Tommaso di Ruzza, già direttore dell’Aif (Authority di Supervisione finanziaria del Vaticano; Renè Brulhart, già presidente di detta Authority e l’avvocato Nicola Squillace.
Al termine di questa lista figura Raffaele Mincione, faccendiere italo-svizzero, che gli inquirenti definiscono in atti come il “dominus indiscusso delle politiche di investimento di una parte considerevole delle finanze della Segreteria di Stato“.
L’inchiesta è stata condotta dalla Guardia di finanza e dal Promotore di Giustizia Gian Piero Milano, dall’aggiunto Alessandro Diddi e dall’applicato Gianluca Perrone. Le attività investigative sono state espletate dalla Gendarmeria vaticana diretta dal comandante Gianluca Gauzzi Broccoletti che ha raccolto centinaia di documenti e apparecchiature elettroniche sequestrate agli imputati.
Che cosa avrebbero commesso questi signori oltre a far finire nelle tasche di Cecilia Marogna, amica e conterranea di Becciu, ben 557mila euro che sarebbero dovuti servire per la liberazione dei missionari rapiti in Africa e spesi invece in oggetti di lusso griffati?
A vario titolo gli imputati che andranno a giudizio il prossimo 27 luglio avrebbero avuto le mani in pasta nella compravendita del palazzo di Sloane Avenue a Londra, in cui il Vaticano ha perso milioni di euro. Le parti lese, infatti, sono due: la Segreteria di Stato e lo Ior, la famosa banca vaticana, ai quali sarebbero stati sottratti, truffati ed estorti una montagna di soldi provenienti dall’Obolo di San Pietro o comunque non dirottabili verso quella che si è rivelata tutt’altro che un’opera di carità.
In atti si legge che Becciu, insieme a Crasso, Mincione e Tirabassi, avrebbero fatto in modo che quei soldi finissero in “attività imprudentemente ed irragionevolmente speculative” come “scalate a istituti bancari italiani in incipiente stato di crisi” e “contrarie” agli scopi per cui i fedeli le avevano donate alla Chiesa.
Il palazzo di Sloane Avenue sarebbe stato acquistato “a condizioni inique e gravemente dannose per la Segreteria di Stato” creando una plusvalenza che pare sia giunta direttamente nelle tasche dell’affarista Mincione.
Il rinvio a giudizio ricostruisce tutta la vicenda con certosina precisione. La Segreteria di Stato sarebbe stata spinta ad acquistare quote del fondo Athena Capital Global Opportunities per oltre 200 milioni di dollari sin dal 2013. L’operazione era andata a buon fine grazie alla liquidità ottenuta con il credito aperto nei confronti del Vaticano da due banche svizzere, il Credit Suisse e la Banca della Svizzera Italiana.
In cambio la medesima Segreteria di Stato avrebbe pagato un “pizzo” per valori patrimoniali pari a oltre 454 milioni di euro derivanti dalle donazioni dell’Obolo di San Pietro. Nonostante i personaggi in gioco non godessero di effettiva affidabilità e la cosa era nota a molti: ”…Sono vittima di una macchinazione – ha detto l’ex cardinale Becciu – saprò difendermi in aula…”. Anche gli altri imputati sono innocenti, sino a prova contraria.