Dal cemento ai rifiuti, fino all’agroalimentare: la criminalità organizzata ingrassa sull’ambiente, sulla salute e sulle tasche dello Stato.
I reati ambientali sono tra i peggiori commessi dalla criminalità organizzata per i suoi devastanti effetti sulla salute dei cittadini e sull’ambiente. L’anno scorso se ne sono verificati oltre 40 mila, pari ad una crescita del 14,4% rispetto al 2023. In pratica un reato ogni 13 minuti. Il giro d’affari intorno ai reati ambientali è da paura. Si parla, secondo l’ultimo rapporto di Legambiente “Ecomafia 2025” di una cifra iperbolica, 9,3 miliardi di euro. Il fenomeno si è esteso rapidamente a causa dell’azione combinata, casuale non si sa fino a che punto, di appalti pubblici, rifiuti, animali, agroalimentare e corruzione.
Non c’è area geografica che sfugge alla furia distruttrice dell’ecomafia, con una particolare predilezione del Mezzogiorno d’Italia. Il termine coniato da Legambiente nel 1994 indica una serie di reati compiuti dalle organizzazioni mafiose a danno dell’ambiente e della salute umana. Partecipano al… banchetto tossico imprenditori pronti a tutto pur di risparmiare sullo smaltimento dei rifiuti, senza remora alcuna e politici che di fronte alla corruzione si prostrano estasiati dall’odore dei soldi.

E’ un’economia illegale, ben organizzata e diffusa che causa una serie di danni a catena: all’ambiente, alla salute dei cittadini, all’economia lecita e alla spesa pubblica. I costi per le casse dello Stato sono ingenti. Riguardano la bonifica dei territori inquinati, la cura delle malattie come tumori di vario tipo che colpiscono le popolazioni esposte a sostanze tossiche che incide sul già problematico Sistema Sanitario Nazionale (SSN), la distorsione dell’economia vittima di concorrenza sleale e le opere pubbliche che subiscono ritardi per la penetrazione nel tessuto sociale di organizzazioni criminali. Secondo alcune stime negli ultimi 30 anni le ecomafie hanno accumulato profitti pari a più di 269 miliardi di euro. Cifra maggiore della quota destinata all’Italia dalla Unione Europea (UE) del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza). Campania, Puglia, Sicilia e Calabria sono le aree geografiche in cui si realizza il 42,6% dei reati complessivi.

L’aspetto più deleterio è che il fenomeno si insinua fino ad avvelenarli in settori significativi dell’economia. Ad esempio il cemento che, oltre ad essere la gallina dalle uova d’oro per chi partecipa al misfatto, è composto da una vasta gamma di reati: abusivismo edilizio, appalti truccati e attività estrattive di sabbia, ghiaia, pietre ed altro senza le dovute autorizzazioni e permessi, con evidente violazione delle normative urbanistiche, ambientali e di tutela del territorio. Un altro settore che fa gola alle mafie è il ciclo dei rifiuti. Si va dalle discariche illegali al traffico di rifiuti speciali e la gestione fuori da qualsiasi protocollo e norma legale degli impianti di smaltimento. Segue il settore agroalimentare, con l’uso criminale di pesticidi fuorilegge, frodi alimentari e caporalato, di cui è ricca la cronaca.
Il rapporto ha evidenziato che il rapporto tra la criminalità e la politica è diventato talmente saldo che si è trasformato quasi in una prassi comune, un… protocollo da seguire. Il settore più appetitoso è quello degli appalti, come conferma il recente scandalo di Milano, definito dalla procura di Milano “un vorticoso circuito di corruzione”!
Un dato importante è emerso dal report, ossia la penetrazione della criminalità organizzata e la proliferazione della corruzione pubblica sono alimentate dalla carenza di controlli e di efficaci strumenti di prevenzione. Gli uni e gli altri sono presenti solo sulla carta, ma, nei fatti, sono inesistenti. Oppure, quando ci sono, fanno finta di niente, voltano il capo dall’altra parte o cedono, con facilità al… fascino di qualche mazzetta. Che squallore, come ieri se non peggio!