Le riunioni settimanali, pianificate per verificare l’andamento della situazione e le nuove idee, spesso si rivelano una perdita di tempo. E molte aziende corrono ai ripari.
Roma – Chi lavora nelle aziende private, ma anche nella pubblica amministrazione si è abituato a sorbirsi le “riunioni settimanali” del gruppo di lavoro per discutere l’andamento dello stesso e della sua organizzazione. Il più delle volte si è sempre trattato di incontri inutili, in cui non veniva presa alcuna decisione preponderante. Anzi i partecipanti risultavano più irritati di quando l’incontro era iniziato. Lo slogan era sempre lo stesso: “Ci aggiorneremo al prossimo meeting”. Ora, pare, invece, che molte imprese vogliono ribaltare completamente il modello, per sostituirlo con quello “zero meeting”, ovvero l’abolizione delle riunioni settimanali, perché ci si è accorti che sono sconvenienti.
Per il momento la scelta sembra avallata dalle grandi compagnie. Ad esempio il colosso dell’e-commerce Shopify ha deciso in tal senso, nel quadro della riduzione dei costi operativi. L’intento è di rendere più efficiente e meno stressante il lavoro. Sono state, quindi, eliminate tutte le riunioni ricorrenti con più di due persone e vietati i meeting fissati una volta alla settimana, ma anche quelli che si svolgono in altri frangenti. Inoltre. I dipendenti sono stati invitati ad uscire dalle chat di gruppo. Il management del gruppo ha applicato la teoria di “lavorare per sottrazione”. In pratica, succede che per partecipare ad una riunione, si rinuncia alle attività che si stavano effettuando in quel momento, che devono essere rinviate.
Questo accade, soprattutto, in quegli estenuanti meeting a cui partecipano decine di persone. In questo caso il tempo impiegato divento altamente improduttivo. Gira e rigira, la lingua batte, sempre, dove il dente duole. Ovvero, è sempre una questione di soldi. Il modello “zero meeting”, infatti, ne fa risparmiare un bel gruzzolo. L’esempio di Shopify è stato imitato da Meta, l’azienda di Mark Zuckerberg, che dirige anche Facebook, Instagram e WhatsApp e da altri gruppi digitali. È stato stimato che un dipendente medio impiega 18 ore settimanali per queste riunioni con colleghi, coordinatori e dirigenti. Il 75% dei partecipanti ritiene che si tratta solo di perdita di tempo, poiché alla fine della fiera, si resta con un pugno di mosche in mano.
Se è vero che secondo le stime, questi incontri provocano un danno intorno a 100 milioni di dollari annui, è strano che se ne siano accorti solo ora. Visto il fine ultimo di ogni azienda: “il massimo profitto, con le minime risorse impiegate”! È emerso, inoltre, che dai “meeting” di questo tipo cresceva la sfiducia dei dipendenti verso i propri superiori. Con la pandemia, aumentando il lavoro da remoto, sono cresciute pure queste riunioni, così come le spese. Secondo uno studio della Neoma Business School con sede a Parigi, la diminuzione di questi incontri porta giovamento alla produttività e benefici allo stress dei dipendenti. Inoltre, cresce anche l’efficienza sul posto di lavoro. La maggior parte dei lavoratori esprime la sua massima produttività nelle prime ore di lavoro, che poi è il periodo in cui si svolgono le riunioni.
Naturale che, al ritorno da queste ultime, la voglia di lavorare e la soglia d’attenzione siano molto basse! Un altro aspetto deleterio emerso è che il rapporto tra colleghi peggiora dopo ogni incontro stabilito dall’alto. Mentre nascono collaborazioni fruttuose quando avvengono in maniera autonoma, che facilitano il lavoro del gruppo e l’umore generale. Tuttavia, senza voler confutare gli studi effettuati, pare che spesso si segue la moda del momento. Oggi si fa in un modo, domani in un altro. Basta fare “ammuina”, che nel dialetto partenopeo, letteralmente significa “fare confusione”. È l’invito a creare disordine, movimento, allo scopo di conseguire vantaggi. Come nel caso dei “meeting”!