L’ascesa delle donne nell’accademia italiana segna progressi, ma il cammino verso la parità è ancora lungo. Dati e riflessioni sull’accesso ai ruoli apicali.
Vuoi vedere che dopo tanta fatica, soprusi e discriminazioni subiti, l’accesso ai ruoli apicali della carriera universitaria, non è più ostruito per il genere femminile? Forse non bisogna farsi trascinare dall’entusiasmo, in quanto il numero delle donne come ricercatrici e nell’insegnamento accademico, non è ancora pari a quello maschile.
Tuttavia dei miglioramenti ci sono stati. Secondo l’Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), l’incremento di donne tra il personale docente c’è stato, ma è ancora inferiore rispetto all’Europa. Qualche segnale incoraggiante, comunque, c’è. Una buona parte di donne che erano ricercatrici precarie 10 anni fa, oggi sono docenti associate e una parte, ordinarie. Confrontando i dati, si comprende meglio la lenta avanzata femminile. Nel 2012 i docenti ordinari di sesso femminile erano il 20%, nel 2022 il 27%. Inoltre, il 35% dei docenti associati, contro il 42% di oggi, il 45,5% dei ricercatori universitari a tempo indeterminato, oggi sono il 49%. Infine, 99 Rettori e Rettrici in carica nell’anno 2022, dodici di questi (12,1%) sono donne. Questa percentuale era al 7,5% nell’anno 2012. Questa crescita numerica è minima, oppure è significativa? Il fenomeno è più complesso di quanto possano spiegare gli aridi numeri.
Le radici sono culturali e sociali e toccano, quindi, la concezione del Potere. E’ noto da tempo che le donne all’Università sono in numero maggiore rispetto agli uomini. Si laureano prima e con voti, in media, più alti. Però, quando si tratta di fare carriera una serie insormontabili di ostacoli si frappongono a bloccare la loro ascesa. Per cause di tipo culturale, si intende, ad esempio, il lavoro di cura della famiglia, che in maggioranza molto alta è, esclusivamente, a carico delle donne. I dati, nel lungo periodo, supportano questa tesi. Nel 2002 le lauree triennali appannaggio delle donne hanno raggiunto la quota del 58%.
Clamorosa la percentuale del 17% di presenza femminile alla facoltà di Ingegneria. Etimologicamente, il termine deriva dal latino “ingenium” e dalla stessa radice deriva il termine italiano “ingegno”. Nel significato originario, per ingegnere veniva inteso un uomo intelligente, pratico, capace di risolvere problemi. La storia, in un certo senso ha sconfessato questa definizione, visto i danni che il potere maschile ha commesso, finora. Nel 2024 le laureate hanno manifestato le loro aspettative in maniera diversa rispetto alle loro colleghe del 2002. Si è innalzata la quota delle donne che hanno indicato la carriera come una priorità.
E’ stato riscontrato un aumento della presenza femminile tra i docenti ordinari, mentre il rapporto di donne e uomini selezionati per il ruolo di commissario nella procedura di Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) è di 1 a 5. Rispetto al passato molto è stato fatto, ma altrettanto è da fare. Il cammino per raggiungere la meta della parità, sarà sempre più irto di ostacoli, perché il potere maschile si abbarbica ai suoi privilegi, che difenderà con le unghie e coi denti. Dovrebbe essere scontato, ovvio in una società democratica e civile, non porre ostacoli di qualsiasi tipo che nulla hanno a che fare col merito e la competenza. D’altronde l’art. 3 della nostra Costituzione non recita “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali?”. Evidentemente, si è tramutata in carta straccia!