Il ministro degli Esteri abbandona il movimento di Grillo con un drappello di transfughi ed inizia una nuova avventura politica, sovvertendo “L’uno vale uno” con “L’uno non vale l’altro”. Giochetti di parole: non c’è da stupirsi.
Roma – Si scioglie come neve al sole. Poco prima dell’annuncio del divorzio il Senato aveva approvato una risoluzione di maggioranza che rafforzava il governo e il presidente Draghi che andrà al prossimo consiglio europeo del 23 e 24 giugno con il forte sostegno dei partiti che appoggiano l’Esecutivo. Proprio per questo la comunicazione del Capo della Farnesina è incomprensibile sul piano politico e non trova una giustificazione che non sia per motivi strettamente personali e interni al movimento. Tutto il resto sembra, sinceramente, fuffa. Per non dire il nulla, in senso assoluto.
L’ex capo politico grillino ha attribuito la scelta dell’abbandono anche alle posizioni di alcuni dirigenti del M5s che hanno rischiato di indebolire il Paese. Una motivazione che sembra infondata, proprio alla luce del voto compatto della maggioranza al Senato, che con 219 voti si è espresso per proseguire nell’azione di sostegno all’Ucraina.
“…Quella di oggi è una scelta sofferta che mai avrei immaginato di dover fare – ha affermato Di Maio – io e tanti lasciamo il M5s che da domani non sarà più la prima forza politica del Paese. Da oggi inizia un nuovo percorso. Abbiamo bisogno di aggregare i migliori talenti e le migliori capacità, perché uno non vale l’altro. Ci mettiamo in cammino partendo dagli amministratori locali. Non ci sarà spazio per l’odio, populismo, sovranismi ed estremismi…”.
Insomma, una abiura alla sua stessa esperienza all’interno di un movimento che ha cercato, inutilmente, di sovvertire ogni schema partitico e politico, finendo con l’omologarsi. Il Parlamento non è stato aperto come una scatola di tonno, anzi l’aria parlamentare è divenuta sempre più respirabile, sino a non poterne fare a meno.
Così quando qualcuno, come Spadafora, afferma che nel M5s si è esaurita la forza propulsiva primordiale, dimentica di aggiungere che ciò si è potuto verificare solo perché qualcuno ha cambiato rotta, e non per una congiura o un ineffabile destino. È facile fare opposizione, gridare allo scandalo e giudicare. Ben altra cosa è governare con spirito di servizio senza pretendere, peraltro, di succedere sempre a sé stessi e perpetuarsi all’infinito.
L’impressione è che Conte trasudi serenità per il semplice motivo che Di Maio ha segnato un autogoal.
“…Ci davano degli irresponsabili, degli anti-europeisti, dei nemici della Nato..? – afferma l’ex Premier – Ecco qua, abbiamo votato la risoluzione sull’Ucraina, rimaniamo dentro il governo Draghi, non facciamo problemi di poltrone. Invece Luigi, lui sì che da oggi avrà tante cose da spiegare. Dovrà dire ai suoi ex elettori le ragioni di questa scissione dalla sua ex comunità del movimento…”.
Di certo un ministro degli Esteri che conta su una scissione proprio nel giorno della risoluzione sull’Ucraina lascia parecchio a desiderare. Per l’ex Presidente del Consiglio la strategia più scomoda per mettere all’angolo Di Maio, e inchiodarlo alle proprie responsabilità, è stata quella di accettare qualsiasi testo della risoluzione e confermare nei fatti l’adesione al governo Draghi persino in materia di armi, su cui non vi è stata alcuna apertura.
Resta il fatto che Conte da questo momento ha le mani più libere sulla politica estera, non essendo Di Maio espressione del M5s. Eppure l’unico dato certo che Conte è riuscito a ottenere è stato l’impegno del Premier a riferire alle Camere ogni tre mesi. Ben poca cosa.