Fame e malnutrizione nel mondo possono essere sradicate solo se diventano una priorità globale. I Paesi in cui, in questo momento, c’è maggiore benessere, sono quelli che per primi dovrebbero proporre soluzioni concrete. Basta parole.
Roma – Qualche settimana fa è stato pubblicato il report “Lo stato della sicurezza alimentare e della nutrizione nel mondo 2023”, a cura dell’Organizzazione dell’ONU per l’alimentazione e l’agricoltura (FAO). I risultati sono tutt’altro che tranquillizzanti. Un’altra promessa non mantenuta, da marinaio, come si dice in gergo popolare, da parte delle istituzioni mondiali. Era stato assicurato, infatti, l’azzeramento della fame entro il 2030. Almeno questo era stato sottoscritto nel 2015 con “l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” da parte di ben 193 paesi membri dell’ONU.
La pandemia e la guerra in Ucraina sono stati le due emergenze che hanno peggiorato il quadro, di per sé non roseo. Tra il 2019 e il 2022 il numero di persone in condizione di malnutrizione è aumentato di 122 milioni, raggiungendo la spaventosa cifra di 735 milioni. Numeri impressionanti, più numerosi della popolazione degli USA, Indonesia e Filippine messi assieme.
Bisogna arrendersi a questo flagello, allora? Il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, agenzia specializzata dell’ONU per l’incremento delle attività agricole nei paesi membri, ritiene, invece, che un mondo a fame zero sia ancora possibile. Quello che scarseggia sono gli investimenti e la volontà politica di attivare soluzioni su larga scala. La fame può essere sradicata se diventa una priorità globale. Vista la situazione politica nazionale e internazionale sembrano previsioni ottimistiche e intrise di retorica, quasi da studente liceale.
Con la politica colonialista dei potenti Stati occidentali e non solo, basta aggiungere l’espansione economica verso l’esterno della Cina e dell’Arabia Saudita, perpetrata ai danni di paesi ricchi di risorse naturali, sarà mai possibile un rinsavimento? Poco credibile, fino a quando si resta succubi degli interessi delle multinazionali che si sono comportate da vere predatrici, depauperando interi paesi. La situazione diventa apocalittica se consideriamo che la malnutrizione è solo una parte della medaglia.
L’altra è rappresentata da uno stato di insicurezza alimentare, che si è impennato tra il 2019 e il 2020, per poi diventare stabile nell’ultimo triennio. Comunque, restano numeri terrificanti. Esistono, infatti, 900 milioni di persone in condizioni di insicurezza alimentare severa, 180 in più rispetto al 2019. Come dire che hanno digiunato almeno un giorno per difficoltà economiche.
Se poi mettiamo nel conto anche persone in condizione di insicurezza alimentare “moderata”, intendendo chi è costretto a ridurre la qualità e la quantità di cibo, si raggiunge l’iperbolica cifra di 2,4 miliardi di persone. Ovvero, quasi un individuo su tre. Una crescita di 391 milioni di esseri umani in più rispetto al 2019. La pandemia e la conseguente inflazione hanno determinato l’aumento del costo di una dieta sana, giunto in termini globali alla percentuale del 6,7% in rapporto al 2019. Vale a dire, 3,1 miliardi di persone, ovvero il 42% dell’intera umanità, non hanno potuto seguire un’alimentazione corretta nel 2021.
Un valore che ha raggiunto il numero di 143 milioni in più al periodo prima della pandemia. L’Africa raggiunge l’88% di persone in queste condizioni, mentre l’Asia il 44%. Ora, gli Stati potenti, alcuni dei quali si sentono portatori di civiltà e democrazia, se sono tali, dovrebbero, una buona, volta offrire una soluzione alle criticità rilevate da organismi istituzionali come quelli dell’ONU.
E invece, proseguono imperterriti nel loro menefreghismo. Ci sono delle immagini che testimoniamo, meglio di altre la situazione attuale. Sono quelle di politici nazionali e internazionali che banchettano con pietanze luculliane, attorniati da torme di vassalli di corte e donne in cerca di notorietà, mentre dall’altra parte del mondo c’è chi muore di fame. Questa è la nostra civiltà!