Consumo di pesce in Europa: a luglio “finisce” quello pescato nel Mediterraneo

Secondo il Wwf il nostro mare viene sfruttato al di sopra le sue possibilità e il cambiamento climatico peggiora le cose.

Roma – Le riserve di pesce mediterraneo, a luglio, sono state già divorate. Quando si leggono delle notizie che galoppano come cavalieri solitari nelle immense praterie del web, è come ritrovarsi su un ring, in cui durante un duro corpo a corpo, l’avversario sferra un colpo da Knock Out e ci si ritrova al tappetto. Notizie del genere se ne trovano tante, purtroppo. Basta ricordare gli eccidi della guerra in Ucraina ai danni di civili e quelli in Palestina o il recente episodio della barbara morte sul lavoro del bracciante indiano, che dopo aver perso un braccio, rimasto impigliato in un macchinario e aver subito lacerazioni alle gambe, è morto per dissanguamento. Una notizia davvero agghiacciante, se si pensa che il lavoratore in nero è stato abbandonato come un sacco di patate davanti alla sua abitazione.

Poi, invece, ci sono notizie all’apparenza meno aspre, ma che ti stendono lo stesso, perché agiscono come le manguste quando attaccano il serpente cobra. Si tratta di un mammifero carnivoro di non eccelse dimensioni, ma che riesce ad avere la meglio grazie alla sua tattica, all’inizio attendista per poi lanciare il colpo fatale. La notizia diffusa dal WWF potrebbe rientrare in questa fattispecie. Ovvero, a luglio sono state già consumate le riserve di pesce del mare mediterraneo. In pratica ci si abbuffa di pesce fino ad ingozzarsi al punto che l’offerta non riesce più a soddisfare la domanda. Dall’8 al 16 luglio si è tenuto la 36esima edizione del Comitato per la Pesca FAO (COFI), una tavola rotonda sullo stato di salute dell’acquacoltura e della biodiversità marina. L’evento ha coinciso con quello che il WWF ha definito il Fish Dependence Day, cioè la data in cui si esaurisce la produzione di pesci. Il calcolo viene stimato su quante risorse sarebbero disponibili se si mangiasse solo il pesce prodotto dai nostri mari.

Ebbene, ad oggi, la risposta è zero! La situazione può essere spiegata col fatto che la domanda europea e alta, pari a 24 chili annui. L’Italia, che nelle classifiche negative si fa sempre… apprezzare, supera e di molto la media, attestandosi su 31,21 chili a testa. Inoltre, lo stato di salute del Mediterraneo è in condizioni penose, tanto da essere paragonato ad un paziente in stato comatoso, quasi irreversibile. Non ci si poteva aspettare altrimenti, col 58% di pesca illegale che imperversa nel Mare Nostrum. Con devastanti effetti a causa delle razzie senza controllo, della presenza di mucillagine, del processo degenerativo delle acque indotto da eccessivi apporti di sostanze ad effetto fertilizzante (azoto, fosforo ed altre sostanze fitostimolanti) trasportate a mare dai fiumi e dagli insediamenti costieri. Le principali fonti di generazione sono costituite dal settore agro-zootecnico e da quello civile.

Secondo il WWF si può ancora intervenire individualmente e come comunità. Innanzitutto si devono aumentare le aree protette che permetterebbero agli habitat marini di risollevarsi e di riprendere la produzione ittica. Inoltre, si potrebbero limitare gli effetti del cambiamento climatico. E qui arrivano le dolenti note, perché riguardano questioni politiche, ambientali ed economiche sulla pesca europea. Non pare che, finora, le istituzioni continentali, abbiano prodotto interventi efficaci, visto la depredazione continua dei nostri mari. Una volta c’erano i pirati che li infestavano per impossessarsi del bottino delle navi, mercantili e non, oggi abbiamo i corsari della pesca illegale. Sono cambiati gli attori, ma il risultato è lo stesso, anzi peggiore, perché danneggia anche la collettività e l’ambiente. Come individui bisognerebbe rispettare il calendario della pesca e mangiare solo pesce di stagione. Infine si potrebbe provare a consumarne di meno. O no?

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