Lucia Borsellino e l’avvocato Fabio Trizzino gettano luce su presunte mancanze e depistaggi legati alle stragi del 1992, sollevando inquietanti interrogativi sulla Procura di Palermo. La necessità di scoprire la verità è più urgente che mai.
Roma – Il 27 settembre ed il 2 ottobre nell’aula di Palazzo San Macuto la Commissione parlamentare d’inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali è iniziata l’audizione dei familiari del giudice Borsellino. Sono stati ascoltati Lucia Borsellino, la figlia del magistrato, e l’avv. Fabio Trizzino, marito di Lucia e legale della famiglia.
Lucia Borsellino ha lamentato di essere stata chiamata, insieme alla sorella Fiammetta ed il fratello Manfredi, dai magistrati di Palermo soltanto nel 2015. Prima di allora era stata sentita soltanto la madre Agnese Piraino, la quale non risparmiò parole dure nelle sue testimonianze. La donna ha ricordato di aver vissuto in prima persona con il fratello e la sorella le scelte del padre ed i rischi ad esse collegati, “rischi che si sono verificati anche post mortem, con tentativi di delegittimazione” ma precisa di non essere più disposta a tollerarli, spiegando di non aver potuto dare il suo contributo alla conoscenza degli accadimenti né come figlia, né come cittadina:
“Non sono venuti fuori del tutto atti e prove testimoniali che potessero fornire elementi – ha detto Lucia Borsellino – a nostro avviso indispensabili, per comprendere il contesto nel quale mio padre operava e il profondo stato di prostrazione e isolamento in cui ha vissuto fino all’ultimo giorno della sua vita…Perché il diritto alla verità non è una ossessione della famiglia Borsellino, o degli altri familiari delle vittime, ma un diritto che appartiene all’intera comunità. Pensiamo che sia doveroso consegnare alle giovani generazioni la narrazione fedele di ciò che è realmente accaduto in quella fase drammatica del nostro Paese oltre che della nostra famiglia…”.
L’avvocato Fabio Trizzino, nella sua lunga deposizione di circa tre ore, ha offerto un’ipotesi investigativa sulla possibile accelerazione nell’esecuzione della strage di via D’Amelio, in cui furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e 5 agenti della sua scorta. Si tratterebbe di un’indagine aperta nel 1989 sull’illecita manipolazione dei pubblici appalti in Sicilia della quale si occupò il giudice Giovanni Falcone.
Il fascicolo che venne depositato in Procura il 20 febbraio 1991 conteneva una serie di intercettazioni telefoniche sulle dichiarazioni dell’ex sindaco di Baucina. Anche il giudice Borsellino ne venne a conoscenza nel 1991 quando era procuratore della Repubblica a Marsala e ne rese partecipi anche i giovani magistrati che collaboravano con lui, prendendone spunto per indagare su alcuni appalti a Pantelleria. Di questo si trova traccia nella sentenza del Borsellino Quater del 20 aprile 2017 in cui si legge:
“ Anche il pentito Giuffrè avrebbe riferito agli inquirenti che “il timore di cosa nostra che il magistrato Borsellino potesse divenire il nuovo capo della Direzione nazionale antimafia e delle indagini che lo stesso avrebbe potuto compiere in materia di appalti”.
L’avvocato Trizzino ha ricordato anche le parole che Borsellino disse alla moglie:“Non sarà la mafia ad uccidermi ma i miei colleghi che glielo permettono” e descriveva il suo ufficio “un nido di vipere”. Ecco perché, aggiunge Trizzino, “dobbiamo andare a cercare nella Procura di Palermo e andare a vedere se già nel ’92 vi fossero elementi che potevano giustificare quella affermazione”.
Parlando come legale dei figli del giudice il professionista sottolinea l’esigenza di fornire una ricostruzione con dati certi, come dovrebbe fare uno storico “visto che a livello processuale non è ancora stato possibile raggiungerla”. Poi prosegue a nome della famiglia:
“È un dolore incommensurabile – aggiunge Trizzino – avere scoperto che già dal luglio del 1992 esistevano dei verbali e delle audizioni dei magistrati della Procura di Palermo in cui vuoi per la vicinanza rispetto alla strage o vuoi perché in quella Procura vi era un malessere che covava da tempo, i magistrati di allora furono sinceri e privi di qualunque freno inibitorio nel racconto delle dinamiche che, messe in atto dal procuratore Pietro Giammanco, resero di fatto impossibile la vita di un magistrato valoroso come Borsellino“.
Per questo, ha detto con forza l’avvocato, “Denuncio il fatto gravissimo che il procuratore Giammanco non è mai stato sentito nell’ambito dei procedimenti per strage” perché “la realtà dei fatti è che Borsellino l’inferno lo ha vissuto nel suo ufficio e questo gli italiani lo devono sapere”. La presidente della commissione Antimafia Chiara Colosimo, al termine dell’audizione, ha riconosciuto sostanzialmente trent’anni di mancate risposte:
“Credo che dovremmo chiedere perdono se non siamo riusciti in tutti questi anni a dare una risposta alle tante domande che fin qui ci avete posto, con sofferenza e amore. Abbiamo sentito il cuore batterci nei timpani. Vorrei che di questa commissione non si avesse mai a dire che non si è fatto quello che si doveva fare”.
Sulla stessa lunghezza d’onda, in una nota, la senatrice di Italia Viva Raffaella Paita, componente della commissione bicamerale Antimafia, scrive:
“Le parole pronunciate da Lucia Borsellino e dall’avvocato Trizzino in commissione Antimafia sono state così sconvolgenti e di tale importanza da meritare un approfondimento immediato. In particolare, il riferimento alle denunce presentate dalla stessa famiglia in merito alle affermazioni del giudice Borsellino sul ‘nido di vipere’ che popolava la Procura di Palermo nel 1992 e su ‘l’inferno’ vissuto dal magistrato. Chiedo quindi che la commissione sia riconvocata al più presto per proseguire con l’audizione, come già annunciato dalla presidente Colosimo”.
“Con l’audizione è stato fatto un passo in avanti nella ricerca della verità sulle stragi del 1992. Le dichiarazioni rese sui tentativi di depistaggio, sull’isolamento istituzionale al quale è stato sottoposto il giudice anche all’interno della stessa Procura, il racconto dei 57 giorni vissuti da ‘morto che cammina’ dopo l’assassinio dell’amico e collega Falcone rendono, se possibile, ancora più urgente la necessità di dare risposte a domande rimaste per troppo tempo inevase e fanno crescere in tutti noi, come ben sottolineato oggi dal presidente della commissione antimafia, Chiara Colosimo, la necessità di chiedere scusa per quanto fino a oggi non è stato fatto”.
Commenta così il deputato Riccardo De Corato, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione bicamerale Antimafia. Anche Leoluca Orlando, ex sindaco di Palermo, esorta la Commissione a dare un seguito “alle richieste, inascoltate per oltre 30 anni e oggi ripetute da Lucia Borsellino, sulla Procura della Repubblica di Palermo sino alle stragi del 1992 guidata dal dottor Giammanco e che Paolo Borsellino aveva definito ‘nido di vipere’“. A distanza di oltre 30 anni verranno finalmente identificati assassini e mandanti?