CHE LA MEMORIA SERVA AL PRESENTE. E AL FUTURO

Un rinnovato no alle guerre e ai genocidi razziali in un momento di grande disequilibrio nel vecchio Continente

Il 27 gennaio 1945 le truppe sovietiche del maresciallo Ivan Konev liberavano il campo di concentramento di Auschwitz. Non sarà l’unico. Tra i campi meno conosciuti merita una menzione particolare quello di Ravensbrück, a soli 80 km da Berlino, liberato il successivo aprile. La sua particolarità era quella di essere un campo (quasi) esclusivamente femminile. Dalla sua apertura nel 1939, il campo venne concepito come un luogo di detenzione preventiva per rinchiudere le donne non conformi. Tra le molte internate, solo una percentuale minore era di origine ebraica. La maggioranza erano oppositrici politiche, comuniste o parenti di comunisti, lesbiche, mendicanti, gitane, testimoni di Geova, prostitute, disabili fisiche o mentali, donne che avevano osato intrattenere relazioni amorose con razze untermenschen, cioè inferiori. In generale, vi venivano portate tutte quelle donne che erano definite in qualche modo come asociali, coloro che con i loro comportamenti avrebbero potuto essere pericolose per la società tedesca.

I paesi europei da sempre fanno fatica a confrontarsi con l’enormità del nazismo e dei campi di concentramento. Fanno fatica perché accettare che entrambi facciano parte dell’Europa, che siano nati dalla sua cultura e dalla sua storia, metterebbe in difficoltà il sentimento di superiorità morale e culturale che da sempre li caratterizza. Per questo, nella memoria di quegli accadimenti, l’eccezionalità dell’evento singolo prevale sul ricordo dei tanti stermini che i paesi europei compirono in giro per il mondo nella lunga stagione coloniale e che lo prepararono, materialmente e culturalmente.

Nel corso degli anni, la tragedia dell’Olocausto ebraico ha finito per mettere in ombra le molte vittime del sistema di sterminio nazista e la sua volontà di eliminare tutti coloro che non fossero conformi ai suoi canoni etici e morali, politici e fisici, che la storia di Ravensbrück invece continua a ricordarci. La ferma opposizione alla mentalità, sempre presente e attuale, di definire canoni morali e etici unici, che dividano la società in buoni e cattivi, e al conseguente tentativo di eliminare il diverso, l’anormale, il non conforme, il pericoloso, sono il più grande omaggio che possiamo fare alle vittime del nazismo e a tutti coloro che combatterono contro di esso.

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