INCHIESTA: la società di ricerche Shardna, del dottor Renato Soru, subiva poi alterne vicende sino alla cessione al San Raffaele a cui faceva seguito la situazione giudiziaria ancora in corso.. Il Dna di migliaia di cittadini sardi in quali laboratori di ricerca sarà finito? La vicenda è rimasta nell’ombra ma il segreto della longevità rimane un mistero.
Nel 2016 i carabinieri di Lanusei, capoluogo dell’Ogliastra, a sudest della Sardegna, battezzano “biointrigo” l’inchiesta scattata dopo la misteriosa sparizione da un laboratorio di circa 27 mila provette, contenenti il DNA di migliaia di centenari sardi, messo a disposizione dei ricercatori nei primi anni Duemila. Le provette, utili alla ricerca sul genoma, erano sparite dai cassetti refrigerati della società di ricerche SharDna. Il nome, attribuitole dall’imprenditore nonché proprietario dottor Renato Soru, è una contrazione di Shardana e DNA. Gli Shardana erano una delle popolazioni, citate dalle fonti egiziane del secondo Millennio a.C. che facevano parte dei popoli del mare, identificati con gli antichi sardi. Tale discendenza è tuttora oggetto di dibattito archeologico, ma è perno portante dell’importanza del laboratorio. Il dottor Soru possedeva la maggior parte delle quote aziendali della Shardna. Il resto era diviso tra CNR, Banco di Sardegna, Sfirs e la casa di cura Tommasini. Shardna era considerata un’eccellenza nel campo della genomica proprio grazie alle peculiarità uniche del DNA delle popolazioni sarde, isolate in termini genetici, demografici e ambientali. La mission dichiarata era quella di identificare le cause genetiche delle malattie multifattoriali comuni, per porvi rimedio. Nel 2009 Soru, precedentemente presidente della regione Sardegna, decide di liberarsi di Shardna che è probabile arranchi economicamente. Nell’ambito farmaceutico la società vale 4 milioni di euro. Soru la vende, per 3 milioni, al San Raffaele di don Verzè, che sta anche costruendo l’ospedale di Olbia, poi acquistato dal Qatar nel 2017.
Nel 2012 la Shardna finisce stritolata nel crack del San Raffaele e viene posta in vendita giudiziaria. Al momento del concordato decisivo per la situazione debitoria del San Raffaele, Shardna viene considerata non interessante persino dal nuovo proprietario, il Bambin Gesù di Roma. La regione Sardegna interviene per salvare la società ma non vi riesce e il liquidatore la scioglie e vende la sua banca dati. Essa contiene un tesoro ineguagliabile di materiale genetico, messo insieme da eminenti biologi molecolari, informatici e genealogisti, oltre a contenere ovviamente dati sensibili. Nel luglio 2016, la Shardna viene venduta per 285 mila euro, alla Tiziana Life Sciences una società con sede a Londra. Un mese dopo, il 10 agosto 2016, dai contenitori freezer del parco genetico di Perdasdefogu in Sardegna, dove erano custoditi i bio prodotti dell’ex Shardna, spariscono circa 27 mila provette con campioni biologici, donate da 15 mila ogliastrini.
Il direttore di Shardna, il professor Mario Pirastu, veniva iscritto con la sua collaboratrice e una folta schiera di nomi noti sardi, nel registro degli indagati per la sparizione del materiale biologico, con varie accuse: concorso in furto aggravato, peculato, abuso d’ufficio, falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, oltre a illeciti minori. Nel gennaio scorso è’ stato assolto dall’accusa di falso e omessa denuncia perché il fatto non sussiste, Renato Macciotta, curatore fallimentare di SharDna, uno degli 11 imputati per la sparizione delle provette. La sentenza è stata emessa dal Gup Nicola Clivio. La magistratura dovrà esprimersi per il rinvio a giudizio di altri 10 imputati: il professor Mario Pirastu, presidente di Genos, e della sua collaboratrice Simona Vaccargiu, accusati di furto aggravato in concorso per essersi impossessati delle provette; Mariano Carta, sindaco di Perdasdefogu; Franco Tegas, sindaco di Talana, e l’ex vice sindaco Ercole Perino; il presidente e i consiglieri di amministrazione di Genos Valter Vittorio Mura, Maurizio Caddeo, Piergiorgio Lorrai; gli amministratori di SharDna Maurizia Squinzi e Mauro Valsecchi e l’amministratore unico di Longevia Tiziano Lazzaretti. Per loro le contestazioni a vario titolo vanno dalla violazione della legge sulla privacy per l’illecita trattazione dei dati sensibili, furto, peculato e falsità materiale commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici. Sulla posizione di Maurizio Fossarello, primario di Oculistica dell’ospedale San Giovanni di Dio, accusato di peculato, il Gup aveva già emesso una sentenza di incompetenza territoriale rinviando gli atti a Cagliari.
Il furto del codice genetico dei sardi che vivono in una de
lle blue zones del mondo, note per la straordinaria longevità della popolazione, fa scattare la prima indagine sulla legittimità dei dati biologici e la normativa sulla privacy. Poiché la società Shardna aveva ottenuto i nominativi dei centenari dagli uffici comunali, senza chiedere il consenso al trattamento agli interessati, il Garante della privacy nell’ottobre del 2016, intima alla società londinese che ha acquisito Shardna, il fermo per l’utilizzo dei dati personali della biobanca. Chiede che la società, prima di iniziare la sua attività di ricerca, ricontatti i donatori, raccolga il loro consenso e li informi della destinazione d’uso dei campioni prelevati. 2500 dei 13 mila sardi che avevano donato campioni di DNA, sequenziato in 15 anni di lavoro, chiedono alla regione Sardegna di tutelare i loro dati genetici, temendo per le conseguenze della vendita. Addussero come causa il fatto che avevano donato il sangue convinti che sarebbe stato utilizzato dai ricercatori sardi per studiare i segreti della longevità e identificare le cause genetiche delle malattie. Intanto il materiale trafugato viene poi ritrovato dai carabinieri dopo alcuni giorni, su indicazione dello stesso genetista Pirastu, nei laboratori della Clinica oculistica dell’Azienda ospedaliero – universitaria di Cagliari, San Giovanni di Dio. È noto che i sardi presentino un quadro genetico peculiare rispetto alle altre popolazioni europee, analogamente ai baschi e ai lapponi. La Sardegna costituisce un prezioso microcosmo che l’isolamento ha protetto e reso unico, essendosi evoluto indipendentemente da altre regioni d’Italia. Le radici del codice genetico degli antichi sardi provengono dai primi agricoltori neolitici arrivati in Europa circa 8000 anni fa. Questi popoli mantennero le loro caratteristiche genetiche fino alla fine dell’Età del bronzo (1000 a.C.), anche se episodi di migrazioni marittime dal Nord Africa sono riscontrabili anche in epoche precedenti. Innumerevoli sono gli studi su siti archeologici sardi con reperti ossei che dimostrano, oltre a altre peculiarità, che la discendenza genetica è rimasta relativamente stabile sull’isola fino almeno alla fine del periodo nuragico (900 a.C.).
I risultati mostrano anche che lo sviluppo dei nuraghi, le costruzioni secolari in pietra assemblate senza nessun collante, e la cultura a essi associata, non coincidono con nessun’altra influenza genetica arrivata sull’isola. Uno studio internazionale pubblicato lo scorso 24 febbraio 2020, dimostra che mentre i sardi dell’era nuragica provengono dagli agricoltori del Neolitico, il sardo moderno avrebbe origine per il 10% dai popoli delle steppe e per il 19% da popoli provenienti dall’Iran. Sorprendentemente, nonostante questi incroci genetici, i sardi moderni conservano il 56-62% degli antenati dei primi agricoltori neolitici, arrivati in Europa circa 8000 anni fa.
L’importanza di un codice genetico così particolare è ridiventata attuale in connessione con il COVID-19. L’andamento del virus in Sardegna, infatti, mostra un quadro più incoraggiante di quello di altre regioni, con uno sviluppo “da lumaca” e con gravità inferiore alla media. Le ipotesi si rincorrono. “… Esistono particolari forme dei geni che danno risposte molto più potenti a livello anticorpale…” dice il professor Cucca, portavoce per la regione Sardegna, che lavora all’Università di Sassari. “… circa il 50% dei sardi presenta questa variante genetica, mentre in certe zone dell’Europa la stessa è presente nello 0,5-1% della popolazione. Queste particolari forme di gene determinano, non solo una migliorata risposta alla malaria, ma un sistema immunitario più pronto a rispondere ad attacchi, tipo questo del COVID-19…”. Il medico ferrarese e commissario ad acta dell’Emilia Romagna per l’emergenza attuale, Sergio Venturi, si interroga se sia possibile che l’esposizione alla malaria e la talassemia, due problemi che fanno parte anche della storia della Sardegna, possano ridurre il contagio da Coronavirus. Questo, ipotizza Venturi, spiegherebbe i numeri bassi di positivi nel ferrarese. Giorgio La Nasa, eminente ematologo, docente dell’ateneo cagliaritano, esclude ogni correlazione: “… Non risulta ci siano dati scientifici a suffragare la tesi, parliamo di ipotesi surreali…”. Marco Contoli, docente di Malattie dell’apparato respiratorio alla facoltà di Medicina dell’Università di Ferrara, non si chiude all’ipotesi del dottor Venturi, augurandosi degli studi sugli effetti della vaccinazione antitubercolare che, proprio nel Ferrarese, è diffusa.
Intanto la Fondazione DNA Ogliastra, ha ottenuto la custodia del genoma dei sardi, circa 13 mila campioni conservati nei laboratori di Perdasdefogu, e attuerà un progetto in collaborazione con il King’s College di Londra, uno degli istituti internazionali più importanti per lo studio del patrimonio genetico dei gemelli. Dal punto di vista economico, compagnie assicurative, datori di lavoro interessati a selezionare il personale su caratteristiche genetiche, case farmaceutiche affannate a testare nuovi farmaci su soggetti selezionati, ricercano dati biologici per utilizzarli come miniere d’oro. Tuttavia, al momento dell’emergenza attuale sarebbe importante capire come replicare il sistema immunitario dei sardi. Ma dopo anni di vicissitudini, degne di una spy story internazionale, il DNA dei sardi continua a mantenere il segreto della sua longevità.