Una brutta storia che si rifletterà negativamente sull'immagine del capoluogo che risente di un'amministrazione lenta e poco oculata. E poco incline ad ascoltare le esigenze dei cittadini.
Catania – Fuori da Palazzo degli Elefanti. Salvo Pogliese non è più il sindaco della città del Liotro. La condanna a 4 anni e 3 mesi per peculato, ai sensi della legge Severino, non gli permetterà di mettere piede in municipio per 18 mesi. Poi si vedrà. Con l’ex primo cittadino catanese sono stati condannati gli ex deputati Giulia Adamo a 3 anni e 6 mesi, Cataldo Fiorenza a 3 anni e 8 mesi, Rudy Maira a 4 anni e 6 mesi e Livio Marrocco a 3 anni di reclusione. Assolto Giovambattista Bufardeci. In più Maira e Pogliese sono stati interdetti in perpetuo dai pubblici uffici mentre Giulia Adamo e Livio Marrocco sono stati interdetti per 2 anni e 6 mesi. Le pene accessorie diventeranno esecutive dopo la condanna definitiva. Le spese temerarie e la bella vita dei deputati siciliani sono finite male e per Catania, nel frattempo amministrata dal vice sindaco Roberto Bonaccorsi in attesa che Pogliese si dimetta o meno, si apre uno scenario politico più cupo dopo questa tegolata, in parte annunciata da tempo.
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Le accuse di peculato si riferivano alla legislatura 2008–2012 del governo regionale di Raffaele Lombardo. L’indagine, che originariamente era rivolta ad un’ottantina di parlamentari poi in larga parte prosciolti, era stata avviata dalla Procura di Palermo il giorno successivo all’approvazione dell’Assemblea Regionale di una legge che prevedeva la rendicontazione delle spese eseguite dai gruppi parlamentari. Il sindaco di Catania, illo tempore, ricopriva la carica di vicepresidente del partito di Berlusconi e secondo le accuse si sarebbe messo in tasca 80 mila euro per finalità personali e comunque estranee alla previsione normativa. In atti si leggono i numeri: 41.183,13 euro utilizzati per pagamenti eseguiti con carte bancomat per spese riguardanti rifornimenti di carburante, consumazione di pasti presso ristoranti, trattorie, pizzerie, bar e soggiorni in hotel palermitani e 31.395,75 euro attraverso l’emissione di assegni bancari a se stesso.
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C’è poi chi ha comprato ceste natalizie, gioielli, auto di lusso ma anche cravatte griffate, agende, cognac di grandi etichette e persino carrè di seta. Insomma non si sono fatti mancare nulla ma davanti ai cinque condannati ci sono ancora due giudizi. Solo allora, e in caso di conferma, potremo chiamarli come meritano. Pogliese, a caldo, ha parlato di grande amarezza per una sentenza ingiusta. Ma le sentenze, si sa, si accettano e basta. Non si commentano. Ciò non toglie che per l’immagine di Catania la storiaccia di Pogliese è davvero un colpo gobbo.
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Ricordo l’allora rappresentante di una lista universitaria che muoveva i primi passi nella politica etnea. Era un giovanissimo e determinato Salvo Pogliese che, in piazza Giovanni Verga, faceva campagna elettorale per le elezioni nel prestigioso ateneo catanese. Chi scrive disse a Pogliese scherzando: lei diventerà sindaco di Catania. La previsione risultò azzeccata. Stessa previsione avevo fatto, stavolta a distanza e su queste colonne, seguendo alcune vicende politiche durante il suo mandato: Pogliese mi sa tanto che farà le valigie. Cosi è stato ma non credevo si arrivasse a tanto. Le mie erano valigie politiche, qui si parla di borsone.
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