La questione più delicata da trattare nell’immediato futuro riguarderà di certo il settore energetico. Tra extra-profitti e spettro del razionamento avremo una bella gatta da pelare.
Roma – Il contributo straordinario richiesto alle imprese energetiche non ha dato fino adesso i risultati sperati. Insomma i conti non tornano a Draghi ma forse neanche alle aziende a cui è stato imposto l’extra-gettito. Così il Premier cerca ancora di sollecitare le imprese del settore energetico a versare i 10 miliardi di incassi, su 11 previsti, che mancano all’appello. Ma si potrà avere contezza di tutto solo dopo il 31 agosto, termine concesso ai contribuenti per l’eventuale ravvedimento operoso.
Un flop clamoroso che secondo l’ex presidente della Bce non è tollerabile. In ogni caso la normativa prevedeva un acconto del 40% entro il 30 giugno e il saldo entro il 30 novembre 2022. Peraltro nel decreto si dimezzano le sanzioni al 15% per chi si ravvede entro questo fine mese, per poi raddoppiarle al 60% per i versamenti successivi.
Ad aumentare la tensione, soprattutto nell’attuale clima infuocato elettorale, si inserisce anche l’alleanza di Verdi e Sinistra. I due partiti hanno presentato un esposto alla Procura della Repubblica di Roma affinché apra un’indagine per “evasione fiscale e frode fiscale”. Atteggiamento solo strumentale, suggestivo e comunque infondato, in quanto non ci sarebbero i presupposti affinché la denuncia sortisca gli effetti sperati.
Ma in questo momento tutto “fa brodo”. Il vero problema, si fa per dire, riguarda i conti fatti al ministero dove mancano quasi 3 milioni di acconto, a fronte dei 900 milioni incassati. Previsione non considerata dal Mef, anche se abbastanza prevedibile, il quale ha dovuto ridurre le entrate disponibili in bilancio. Il problema che non appare normale ha a che fare con un’imposta aggiuntiva, della misura del 25%, in grado di fornire quasi un terzo del gettito totale IRES. Pare esserci già una sovrastima in partenza, anche considerando solo i 7 mesi da ottobre 2021 ad aprile 2022, rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Da ciò si può dedurre che il comportamento delle imprese coinvolte sembra essere una scelta deliberata.
Va evidenziato infatti che delle 11 mila imprese del settore energetico interessate, circa il 98% sono medio piccole e, secondo i calcoli del Mef, avrebbero dovuto generare metà del gettito. L’altra metà era attesa da giganti del settore, come A2A, Edison, Eni, Enel, ecc…, in pratica società quotate in borsa. Qui non siamo in presenza di elusione, come sostenuto da Draghi e da qualche politico, ma di eventuale sottrazione al pagamento di un’imposta perché ritenuta illegittima giuridicamente. Pertanto appare probabile che i legali rappresentanti abbiano scelto di attendere l’atto di accertamento o la conseguente cartella esattoriale per impugnare il balzello davanti ai giudici tributari. Per poi sollevare, in quella sede, anche l’eccezione di incostituzionalità e portare la vicenda davanti alla Corte Costituzionale.
Si è verosimilmente trattato del prudente apprezzamento degli amministratori di quelle società che hanno ritenuto, in questo modo, di difendere gli interessi dei rispettivi azionisti. Il dubbio che spunta da questa situazione è molto semplice: pare che la misura di calcolo degli extra-profitti sia sbagliata. Ovvero che non tenga conto della capacità contributiva.
In ogni caso i giudici costituzionali potrebbero far cadere la loro scure contro il provvedimento. Peraltro se si considerano gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale del 2015, che ha bocciato un’addizionale IRES sulle imprese energetiche (Robin Hood Tax), negando però il diritto al rimborso per le imprese che avevano già versato, la stessa situazione potrebbe ripetersi. Ovviamente quasi nessuno intende versare la maggiore imposta con il rischio di perdere il rimborso in caso di successo davanti ai giudici della Consulta.