Calamità naturali e clima: relazione intima e pericolosa

Il numero degli eventi climatici estremi sta drasticamente aumentando nel nostro Paese. Per contrastare le calamità serve un piano serio di prevenzione edile e territoriale.

Roma – La recente alluvione di Casamicciola è solo l’ultima di una lunga serie di calamità naturali che hanno martoriato il nostro territorio. La caratteristica geologica dell’Italia è tale che risulta essere il Paese con più aree a rischio “frane”. Il mutamento climatico, che sta sconvolgendo l’ecosistema, incide pesantemente sull’intensità e il numero dei fenomeni metereologici, con potenziali pericoli più devastanti.

Frane e inondazioni in Alto Adige

Non sono chiacchiere da bar ma è quanto ha ribadito, dopo il disastro, la SIMA (Società Italiana di Medicina Ambientale). I numeri sono terrificanti, ma eloquenti. Negli ultimi 12 anni, sul nostro territorio, ci sono stati 516 allagamenti, effetti di piogge intense. Se vengono ponderati tutti gli eventi climatici estremi, si sono verificati ben 1.503 fenomeni che si sono abbattuti su 780 Comuni, provocando 279 vittime. Che ci sia un chiaro aumento di eventi estremi legati al clima è un fatto, ormai, acclarato. Secondo i dati diffusi da SIMA, solo quest’anno se ne sono presi nota 130, cifra mai raggiunta negli ultimi 10 anni.

Siamo stati tutti spettatori dell’altalenante comportamento climatico. Si è passati dal caldo torrido con temperature da record a siccità. Poi grandinate, trombe d’aria, acquazzoni violentissimi, fino agli alluvioni. L’ultimo che ha colpito Casamicciola ne è la tragica testimonianza. Secondo SIMA, il cambiamento climatico è suffragato dal calo delle precipitazioni, stimato in un intervallo tra il 10 e il 60%. Questa riduzione delle precipitazioni si sta concretizzando con fenomeni estremi che si palesano soprattutto in autunno-inverno, qualche volta anche con uragani mediterranei.

Un’immagine della frana che ha distrutto Casamicciola.

È molto probabile che in futuro, tutti questi eventi estremi si potranno verificare con più frequenza ed in numero maggiore rispetto a quelli che abbiamo conosciuto finora. Le frane e gli alluvioni sono gli eventi che stanno a testimoniare il grave dissesto geologico del nostro Paese. Le cause sono molteplici. Si va dalla pioggia alle fratture del terreno, dal disboscamento alle costruzioni di edifici. L’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) ha diffuso dei dati da cui emerge che l’Italia ha subito un violento processo di urbanizzazione dal dopoguerra, in cui la superficie edificata era del 2,7%, ad oggi, in cui è del 7,65%.

Questo scenario, di per sé allarmante, si è inasprito con la mancanza di una valida pianificazione territoriale e di un’industrializzazione forzata, da cui è scaturito l’abbandono delle zone rurali montuose e collinari. I danni provocati da una frana sono ingenti non solo per le vittime di queste calamità, ma anche per l’ambiente nel suo complesso e per le economie locali. Il dissesto idrogeologico andrebbe combattuto con una politica di prevenzione, di cui la coltivazione dei boschi ne è la conditio sine qua non. In questo modo i boschi si mantengono giovani, forti con più resistenza agli attacchi patogeni e parassitari.

Inoltre, più robusti nel contrastare gli eventi meteorologici estremi e non molli come sono ora, per cui cedono al primo forte acquazzone. Ma, soprattutto, da una politica che la smetta di fare l’occhiolino ai grandi costruttori edili, a cui promette commesse da capogiro. Ma fino a quando la politica è finanziata e condizionata dalle lobby di ogni settore merceologico, non si caverà un ragno dal buco. È triste ammetterlo, ma è l’amara realtà!

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