L’idea geniale di Imma Carpiniello: la torrefazione di caffè come strumento di reinserimento sociale per le donne detenute nel carcere di Pozzuoli. Ma ci sono già altri progetti.
NAPOLI – “…Na tazzulella ‘e café e mai niente cè fanno sapè, nui cè puzzammo e famme, o sanno tutte quante e invece e c’aiutà c’abboffano e’ cafè…”. Chi non ricorda il celebre brano di Pino Daniele? E che il caffè per Napoli sia stato sempre considerato l’orgoglio di una certa tradizione ormai secolare appare scontato dunque proprio dai chicchi neri non poteva che nascere un’idea straordinaria. Un’idea che contribuisce a togliere dalla cattiva strada decine di donne che fanno la loro prima esperienza da detenute in carcere.
L’intuizione di ricorrere al caffè come “mezzo” per rientrare nella legalità e nel vivere con onestà lo si deve a Imma Carpiniello, 43 anni, laureata in Scienze politiche e manager della Cooperativa Lazzarelle. La donna, nel 2010, fondava la cooperativa trasformandosi in imprenditrice in un contesto particolare come quello del carcere di Pozzuoli, uno dei quattro penitenziari italiani che accolgono esclusivamente donne:
” Il caffè era l’idea perfetta: legata alla tradizione partenopea, ma non banale – racconta Imma – ho cominciato a frequentare la Casa circondariale tramite l’Osservatorio sulle condizioni di detenzione e ho potuto ascoltare le esperienze delle donne che ci vivevano. Ho notato quanto fossero deluse dalle opportunità limitate ed estemporanee di formazione o lavoro. Allora ho pensato di costruire qualcosa che fosse stabile e che non ricadesse nello stereotipo delle classiche occupazioni muliebri”.
Le occupazioni femminili come il découpage od altri come la maglia e la realizzazione di oggetti in stoffa e quant’altro, hanno lasciato il posto al caffè o, meglio, alla torrefazione e un bistrot nella famosa Galleria di Napoli ma non solo. A Pozzuoli dunque si attua sul campo il dettato della legge sull’ordinamento penitenziario. L’articolo 20 della normativa stabilisce che il lavoro, fondamento della nostra Repubblica, debba essere favorito in ogni modo anche all’interno delle carceri. Anche qui dev’essere remunerato, non afflittivo e organizzato con gli stessi metodi adottati nella società libera. Princìpi che faticosamente vengono tradotti in pratica per circa un terzo della popolazione carceraria.
Anche in altre realtà si sono concretizzate idee come quelle di Irma. Vedi la Cooperativa Alice con la “Sartoria San Vittore”, aperta nel 1992 nella sezione femminile dell’omonima Casa circondariale milanese, a cui si sono aggiunte Bollate e Monza. In queste sedi oltre 450 detenute si sono formate e dopo la liberazione lavorano con profitto. A Venezia, nella Casa di reclusione femminile della Giudecca dal 2001 nascono i cosmetici delle quattro linee a marchio “Rio Terà dei Pensieri”, dal nome della cooperativa che gestisce i laboratori. E che dire dei biscotti sfornati dai minorenni del “Malaspina” di Palermo?:
” La torrefazione – aggiunge Imma – ha preso forma grazie agli spazi concessi in uso nel carcere dall’Amministrazione penitenziaria e grazie ai fondi regionali per startup con cui abbiamo acquistato i macchinari, allacciato le utenze e sostenuto il primo anno. Era un ambito inesplorato per tutte noi e ho chiesto aiuto a miei amici, mastri torrefattori napoletani. Ci hanno consigliato nella scelta dell’attrezzatura, ci hanno insegnato come distinguere i tipi di caffè e come miscelarli. Certo, all’inizio abbiamo combinato qualche guaio…
Mentre scaricavamo i sacchi di caffè, persino gli agenti di polizia penitenziaria ci guardavano perplessi. Eravamo una novità, entravamo in un mercato dominato dagli uomini… Le Lazzarelle, adolescenti un po’ pazzerelle nel dialetto napoletano, sono cresciute. In un decennio circa 60 detenute si sono passate il testimone e hanno imparato il mestiere in torrefazione.
Vengono impiegate in gruppi di tre o quattro, tutte sono assunte, seguite e guidate al momento della liberazione. Molte di loro non hanno mai lavorato o l’hanno fatto senza un contratto, quasi nessuna perde l’occasione di cambiare vita, se il carcere le fornisce gli strumenti adeguati. E lo stipendio consente di provvedere alle spese di mantenimento…”.
Nel luglio 2020 la Cooperativa Lazzarelle inaugurava il proprio bistrot nella Galleria Principe di Napoli: “È la nostra vetrina, il luogo “fuori” dove la gente può darci un volto – conclude Imma Carpiniello – e dove le ragazze mettono in pratica le competenze acquisite “dentro”.