La sentenza della Suprema Corte è chiara: appena i mammoni trovano lavoro debbono lasciare la casa dei genitori e darsi da fare per trovare un’abitazione e farsi una famiglia. Cose tutt’altro che facili con i tempi che corrono. I “mammoni” sono ancora numerosissimi e molti di loro percepiscono il Reddito di Cittadinanza dunque chi glielo fa fare di andare a sgobbare?
Roma – Tempi duri per i cosiddetti bamboccioni: la Corte di Cassazione ha stabilito che devono smuovere le chiappe da casa, non appena hanno stipulato un contratto di lavoro, seppur a tempo determinato. La locuzione indica tutti coloro che risultano in ritardo nel loro percorso scolastico e non hanno ancora finito gli studi. Oppure che, avendoli conclusi, non riescono a trovare un lavoro o, ancora, coloro che pur lavorando trovano più conveniente stare con mamma e papà.
Per la cronaca il termine diventò famoso perché sdoganato dall’allora ministro delle Finanze dell’ultimo Governo Prodi, Tommaso Padoa-Schioppa il quale, in un’audizione davanti alle Commissioni Bilancio di Camera e Senato, il 4 ottobre 2007, faceva una precisa richiesta a proposito: “…Mandiamo i bamboccioni fuori di casa. Incentiviamo a uscire di casa i giovani che restano con i genitori, non si sposano e non diventano autonomi...”.
La dichiarazione scatenò un putiferio di polemiche, spesso pretestuose e sterili, provenienti sia da sinistra che da destra degli schieramenti politici. Il problema in realtà è rimasto tale perché in pratica i bamboccioni continuano a non andare via dalla casa genitoriale. I motivi sono molteplici, di ordine psicologico e culturale, da cui ne discende quell’altro fenomeno tipico della realtà italiana, ovvero il mammismo.
Ma esistono anche cause strutturali come la mancanza di una politica di calmierazione degli affitti per i giovani ed un welfare state poco attento alle loro esigenze. Ora è intervenuta una sentenza della Corte di Cassazione, la n. 40282 del 22 settembre scorso, a mettere alcuni paletti. Un fatto storico per le conseguenze che avrà sui cittadini italiani.
La sentenza si riferisce all’obbligo da parte delle famiglie di mantenere economicamente i propri figli fino al giorno in cui non hanno trovato un lavoro ben retribuito. D’ora in poi basterà questo ad interrompere l’obbligo dei genitori di erogare l’assegno di mantenimento.
E’ stato sancito, dunque, dalla Suprema Corte che “…Un’attività lavorativa retribuita, anche a tempo determinato, può costituire un elemento rappresentativo delle capacità dell’interessato di procurarsi un’adeguata fonte di reddito in modo indipendente…
…La possibile cessazione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine e il mancato rinnovo del contratto, ha un significato uguale alla perdita dell’occupazione generata da un rapporto di lavoro a tempo indeterminato o dal negativo andamento di un’attività intrapresa dal figlio stesso in proprio. Evenienze che escludono la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento…”.
La sentenza ha sconfessato quella precedente riguardante il caso di un genitore che doveva continuare a versare al figlio la quota di mantenimento, nonostante quest’ultimo lavorasse ma rimanendo comodamente in casa di mamma e papà. Piaccia o no questo è lo stato attuale dell’arte.
Senza dubbio una sentenza che ha intaccato meccanismi ormai consolidati, soprattutto in questo periodo, con la pandemia che non accenna a rallentare e con la crisi dell’occupazione e delle opportunità.
Comunque prima si va via da casa, prima si recide il cordone ombelicale con la famiglia, prima si fanno le proprie esperienze e si entra nel mondo adulto. Bamboccioni che cosa aspettate?