L’arresto di ‘U Siccu, ultimo superlatitante di Cosa Nostra ancora a piede libero, ha suscitato ondate di giubilo lungo tutta la Penisola. Ma anche non poche perplessità.
Milano – Un arresto ricco di significati, di aspetti oscuri e di estrema riconoscenza verso coloro che il proprio dovere lo compiono sempre. A prescindere da governi, voci, sospetti e congetture. Vogliate perdonarci se d’ora in avanti useremo per convenzione, e soprattutto per risparmiare caratteri, l’acronimo MMD per definire Matteo Messina Denaro, detto U’Siccu considerata la sua figura esile o, se preferite, Diabolik, per via della sua mente satanica.
Nato a Castelvetrano, Comune ad alta infiltrazione mafiosa nella provincia di Trapani, MMD è figlio d’arte. Il padre Francesco, detto Don Cicco, è stato infatti un patriarca del metodo mafioso, gestendo i terreni della famiglia D’Alì Staiti, storica quanto potente progenie di nobili del Trapanese. Merita di essere ricordato uno dei più recenti “virgulti” di tale schiatta: Antonio D’Alì, senatore dal 1994 al 2018, nonché sottosegretario di Stato al Ministero degli Interni (2001-2006) e presidente della Provincia regionale di Trapani (2006-2008). Condannato pochi mesi fa in via definitiva a 6 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Inane esercizio, oltremodo doloroso, ripercorrere la lunga lista di crimini “griffati” MMD nel corso degli anni. Dagli omicidi eseguiti personalmente a quelli di cui era mandante, incluse le atroci stragi che hanno dilaniato il Paese negli anni 90. Eventi questi che hanno segnato un punto di svolta operativo nella storia e nell’evoluzione della mafia siciliana. Ma di questo diremo più avanti.
Preferibile invece cercare di evidenziare gli aspetti simbolici e poco evidenti del boss di Castelvetrano. Quelli meno indagati e, forse, meno noti. Ne abbiamo individuati 5. La sua natura, la conduzione malavitosa, l’analisi del contesto in cui ha operato, l’analisi del cambiamento impresso a Cosa Nostra, la latitanza.
- 1 – La natura di MMD. Non è il classico boss mafioso. Lungi dall’estrazione “rurale” dei suoi pigmalioni Riina e Provenzano, che conducevano una vita di basso profilo culturale e poco godereccia, fatta di campagna, verdure e formaggio, MMD invece conosce il mondo, colleziona Rolex, ama i vestiti firmati e le donne. Discreto il numero di concubine avute da MMD sparse in giro per Italia ed Europa. Le più importanti sono 3. La prima è Maria Mesi. Mari, come si faceva chiamare. Il loro rapporto era molto intenso e pieno di attenzioni, da innamorati. Prima di lei l’austriaca Andrea Haslehner, impiegata nell’albergo Paradise Beach di Triscina. Lo stereotipo della bellezza sassone: alta, bionda e bellissima. Dopo una corte serrata, MMD la conquista. Di lei si era invaghito anche il direttore dell’albergo, Nicola Consales, che voleva sbarazzarsi di quei “4 mafiosetti che le ronzavano intorno”. Fatal error. Consales viene eliminato con sventagliate di mitra a Palermo. Terza musa, Francesca Alagna, sorella del commercialista dell’ex capo della Valtur, Carmelo Patti. Francesca ha dato una figlia a Matteo: Lorenza, cresciuta a casa della omonima madre del boss a Castelvetrano.
- 2 – La conduzione malavitosa. MMD è stato il primo capo cosca che ha avuto l’ardire di delegare. Vezzo ritenuto impensabile per molti boss, che brandivano lo scettro del controllo assoluto su ogni operazione. Anche di quelle minori. MMD invece, resosi evidentemente conto che era in ballo la sopravvivenza stessa degli affari della mafia, ha fatto di necessità virtù, creando una granitica rete di fidatissimi collaboratori che mandavano avanti gli affari con discreta autonomia. MMD non si vede mai. Il boss non compare, il suo nome aleggia come uno spettro tra i vicoli e le procure siciliane. È visto quasi come un benefattore dai suoi sodali, dato che gran parte dei proventi delle sue attività illecite sono destinate a garantire personalmente il benessere dei suoi picciotti reclusi nelle carceri di massima sicurezza.
- 3 – Il contesto. La mafia di Trapani è diversa da quella corleonese/palermitana. Più unita, coesa, impermeabile e con un capillare controllo del territorio. Ma soprattutto più infiltrata nel tessuto economico e sociale, “qualità” questa che la rende potentissima nel condizionamento sociale e che le è valsa il predominio sull’intera regione. Come ammonivano gli eroi dello Stato Giovanni Falcone e Paolo Borsellino: “A Palermo esiste la mafia militare, a Trapani c’è quella economica”. Una delle caratteristiche della mafia trapanese è poi il suo strettissimo legame con le logge massoniche deviate, molto radicate nella città attraversata dal Birgi: da Campobello di Mazara, dove i “fratelli” organizzano addirittura gli open day come quelli che si fanno per le scuole, a Salemi, paese in cui le logge invitarono Garibaldi, fino a Marsala, città dove si ospitano convegni della massoneria. Tutta l’area è a forte connotazione massonica, molti boss della mafia trapanese risultano iscritti alle logge e il fumo attorno alle attività legate alla “conventicola” ha certamente aiutato e alimentato l’evanescenza di MMD.
- 4 – Il cambiamento “operativo” di Cosa Nostra. MMD, pur facendo parte della fronda “stragista” della mafia negli anni ’90, ha intuito che bisognava “cambiare rotta”. Lo ha fatto concentrandosi e intensificando da un lato, un canale in apparenza banale ma fondamentale come quello delle frodi nelle pubbliche forniture, che oggi rappresenta il vero agire delle organizzazioni criminali. Dall’altro riprendere antichi “travagli” come il traffico di stupefacenti, tornato prepotentemente in auge nel corso dell’ultimo decennio a fronte della necessità di “fare cassa”. Viene rispolverata Castellammare del Golfo, storico centro di lavorazione e smercio di droga in tutto il mondo. L’acquisizione inoltre de facto di interi esercizi commerciali ha reso Cosa Nostra il datore di lavoro di migliaia di trapanesi. Esempio lampante, quello dei supermercati Despar e del centro commerciale Belicittà di Castelvetrano, all’ex villaggio Valtur di Favignana, dall’appalto della funivia Trapani-Erice al parco eolico nel trapanese controllati da imprenditori legati a doppio filo con MMD. Con le banche disposte ad aprire i portafogli per lui, ma non per lo Stato.
5 – La latitanza. Risale al 1992, data che segna il principio della “stagione delle bombe”, durante la quale Cosa Nostra riversa sangue e terrore. Obiettivo? Colpire e ricattare lo Stato al fine di ammansirlo circa le scelte di politica penitenziaria e porre le condizioni per una trattativa Stato-mafia. E, coup de théâtre, MMD sparisce. Di lui restano solo vecchie foto giovanili e il famoso identikit. Inizia la caccia matta e disperatissima. Per 30 anni. Fino all’arresto di pochi giorni or sono. Chi/cosa gli ha garantito la sua latitanza? Una delle ipotesi più accreditate lo battezza come l’ultimo boss a custodire i segreti della stagione stragista. MMD avrebbe infatti ereditato un archivio di nomi e ricatti contenente i segreti della mafia durante la Prima Repubblica e gli inizi della Seconda. Materiale di impatto inimmaginabile sulla crosta istituzionale. Per non parlare di qualcosa di “rosso” che il boss avrebbe avuto in mano dopo la strage di via D’Amelio, magari per donazione del suo amico Totò ‘U Curtu. Chissà.
Il suo arresto, come quelli di Riina e Provenzano, produce un’acre mistura di gaudio e rabbia, di gioia e disperazione. Una lacerante asimmetria, tra il bollente mare, alimentato dalle lacrime versate per le vittime di Cosa Nostra e da quelle dei militari, commossi dopo anni di sforzi e sacrifici, e lo smisurato, plumbeo cielo ammantato di tetre ombre che da decenni cingono i palazzi del potere.