Il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento di economia e finanza (DEF) 2023, unitamente a un disegno di legge per interventi a sostegno della competitività dei capitali e un decreto legge per la tutela dei beni culturali.
Roma – È stato approvato dal Consiglio dei ministri il DEF, Documento di Economia e Finanza. Il Governo ha così tracciato la politica economica per i prossimi anni, rivedendo al rialzo le stime del Pil e proseguendo il percorso di riduzione del debito pubblico. Con un provvedimento di prossima attuazione, è previsto un taglio dei contributi sociali a carico dei lavoratori dipendenti con redditi medio-bassi di oltre 3 miliardi per l’anno in corso. Ciò dovrebbe sostenere il potere d’acquisto delle famiglie.
Le valutazioni di Bankitalia confermano, comunque, una tendenza in crescita. In Italia, infatti, l’attività economica sarebbe leggermente aumentata nel primo trimestre del 2023. In ogni caso, tra le variabili che impatteranno sulla crescita del Pil c’è lo stato di attuazione del PNRR, al centro da settimane di una disputa politica per i ritardi nei bandi che metterebbero a rischio l’utilizzo di una parte delle risorse. Tasse sempre più insostenibili e pesanti aggravano le già precarie condizioni di salute di imprese e famiglie. Infatti, è dal 2005 che l’Italia non riesce a scendere sotto il 40% di pressione fiscale. Gli anni della crisi economica del 2007-2008 hanno segnato un aumento nell’incidenza della tassazione sul Pil, da cui l’Italia non è più tornata indietro.
Nel 2022 la pressione fiscale in Italia è aumentata rispetto all’anno precedente. Gli ultimi dati Istat mostrano che il rapporto tra le imposte e il Pil è salito al 43,5%, un dato sempre in crescita negli ultimi anni. Si può affermare, in pratica, che la pressione fiscale misura quanta parte del Pil di un Paese è composta sia dalle imposte, dirette come l’Irpef, indirette come l’Iva e in conto capitale come quelle sulle successioni e le donazioni, nonché dai contributi sociali come ad esempio quelli versati all’Inps. Nel 2022, quindi, su ogni 100 euro di prodotto interno lordo dell’Italia, 43,50 euro venivano dalle tasse e dai versamenti. Il dato, come detto, è in aumento rispetto all’anno precedente, ma non solo. Infatti, l’aumento è stato costante negli ultimi 5 anni, accentuato anche dal Covid-19.
Il motivo di questa crescita nell’ultimo anno è, come ha spiegato l’Istat, che le tasse e i contributi sono aumentati più di quanto sia salito il Pil. Infatti, le entrate fiscali e contributive sono cresciute del 7% nel 2022, mentre il Pil solo del 6,8%. Anche la media Ocse sulla pressione fiscale è aumentata negli ultimi anni, anche se in modo meno pronunciato rispetto a quella italiana. Per quanto riguarda il nostro Paese, le tasse sono state una parte sempre più importante del Pil dal 2018 in poi, mentre negli anni precedenti c’era stato un leggero calo. Infatti, dopo gli anni della crisi del debito sovrano italiano, gli anni 2011-2012, Governo Monti, la pressione fiscale si è progressivamente abbassata fino al 2018. Secondo i dati dell’Ocse, in quegli anni il rapporto tra tasse e contributi da una parte e Pil dall’altra è passato dal 43,8% al 41,7%.
Da quel momento, però, le entrate fiscali sono tornate ad aumentare più velocemente di quanto crescesse il resto dell’economia. Confcommercio lancia l’allarme sulla crescita di 1,2 punti percentuali della pressione fiscale, portatasi al record assoluto dal 1995:
“Non c’è dubbio che l’afflusso di risorse tramite il gettito abbia consentito di finanziare tutte le forme di sostegno e di sussidio alle famiglie e alle imprese, soprattutto nella fase della pandemia, ma tale drenaggio verso il bilancio pubblico di flussi reddituali e contributivi da parte dei ceti produttivi più strutturati e resilienti va corretto velocemente”.
Il DEF, appena approvato, prevede comunque “un andamento discendente della pressione fiscale che dovrebbe passare dal 43,3 nel 2023 al 42,7% entro il 2026”, per il triennio 2024-2026.