Occhio a chi difende la legalità a spada tratta, non è tutto oro quello che luccica. Chi non ricorda la ex magistrata Silvana Saguto? Ma anche in ambito privatistico le magagne non mancano. Associazioni e organizzazioni antimafia, spesso, fanno gli affaracci propri.
Palermo – Antimafia sempre più un bluff. Intendiamoci: ci riferiamo a certe associazioni e alle persone che le gestiscono male. Poi ci sono i sodalizi seri, che lavorano e non pensano agli interessi personali. Non chiedono nulla agli associati e non vanno a braccetto con sponsor e politici che intendono darsi una ripulita. Poi certe notizie ti lasciano di stucco e gettano discredito su tutta la categoria delle organizzazioni culturali che si occupano di lotta alle mafie nelle maniere più diverse: c’è chi organizza festival, chi premi intitolati a nomi più o meno noti di vittime della mafia e non solo. C’è chi gestisce immobili confiscati alla criminalità organizzata mettendo su librerie, bar, ristoranti, pub e biblioteche, centri sociali e di solidarietà ma anche palestre, ovvero vere e proprie attività commerciali a scopo di lucro.
Come nel caso di Valeria Gasso, a Palermo, che in dieci anni di gestione di un bene confiscato alla mafia avrebbe fatto poco o nulla dell’immobile (sulla carta sede dell’associazione Legalità e Libertà) tranne che trasformarlo in una palestra gestita come pare dal figlio. Si parla addirittura di affitti non pagati e di un’ordinanza di sgombero, risalente al 2014, di fatto mai eseguita. Tutte queste magagne sarebbero saltate fuori a seguito di due diversi esposti presentati presso la Procura e la Corte dei Conti del capoluogo siciliano da Domenico D’Agati, responsabile dell’azienda edile che ha realizzato la ristrutturazione dell’immobile di via Matteo Dominici nella convizione che tutte le carte fossero in regola.
Dopo aver incassato un terzo del preventivo D’Agati, già collaboratore di giustizia, avrebbe provato ad ottenere l’intera somma pattuita tramite un decreto ingiuntivo informando dei lavori non onorati l’Agenzia nazionale dei Beni Confiscati, ente pubblico che gestisce il patrimonio immobiliare strappato alle grinfie della piovra. L’Agenzia, dopo qualche sollecito, rispondeva con una nota che lasciava basito il povero imprenditore: “Non esiste alcun provvedimento di assegnazione dell’immobile né di autorizzazione per la sua ristrutturazione“.
Valeria Grasso, ex testimone di giustizia e “imprenditrice antiracket”, dipendente della Regione Siciliana distaccata al ministero della Salute, al momento cittadina al di sopra di ogni sospetto, qualora ritenuta responsabile di quanto messo nero su bianco, si difenderà nelle opportune sedi giudiziarie ma se le cose stessero davvero cosi siamo messi proprio male.
Occorrono dunque maggiori controlli ma non solo per i beni immobili gestiti da sodalizi cosiddetti antimafia. Decine di associazioni, per esempio, gestiscono in proprio le attività di promozione e divulgazione della cultura della legalità manipolando soldi pubblici e privati, salvo poi a non pubblicare i bilanci anche quando questa incombenza diventa obbligatoria, come nel caso delle fondazioni. Poi ci sono altre organizzazioni, di scarso o nullo spessore culturale e sociale, che realizzano manifestazioni a premi con intenti diversi, spesso per accaparrarsi benefici politici come incarichi istituzionali, ai vari livelli, impieghi, raccomandazioni e altri benefit che non sono tanto diversi dalle “mazzette” di mafiosa memoria.
Insomma occorre fare pulizia anche nel pianeta delle congreghe che si battono per la liceità. Magari utilizzando gli stessi metodi con i quali Giovanni Falcone indagava su boss e consorterie: un bel controllo su conti correnti e contabilità. E il gioco è fatto. Ci sarebbe da parlare anche di certi privati cittadini sotto scorta, con spese a totale carico dei contribuenti. Ma questa è tutta un’altra storia.