In questo lungo periodo di isolamento forzato trascorro il tempo, più del solito e come molti, navigando su Internet.
In questo lungo periodo di isolamento forzato trascorro il tempo, più del solito e come molti, navigando su Internet. Ebbene, proprio girovagando sulla bacheca dell’amato/odiato Facebook, mi sono imbattuta in un commento che ha subito suscitato il mio interesse e fornito lo spunto per un nuovo articolo. A un’immagine di donna dai tratti e dagli indumenti molto mascolini seguivano domande spontanee, a volte dal tono garbato, a volte maleducato se non addirittura scurrile, riguardanti il suo genere di appartenenza.
Uomo o donna?
Tra i vari commenti, quello di una ragazza, indispettita dal “putiferio” che una fotografia era riuscita a sollevare: “Cosa vi importa sapere se è maschio o femmina? È così importante per le vostre vite?”. Non aveva tutti i torti… e la villania, poi, non ha mai una giustificazione. Tuttavia, è davvero così importante riuscire ad identificare il genere di una persona che nemmeno conosciamo?
Come sempre, un po’ contraria alla corrente, vi porterò a riflettere sul perché la reazione dei curiosi sia comprensibile e legittima.. Quando passeggiando per strada il nostro occhio incontra una persona, il primo dato che il nostro cervello registra non è il colore della sua pelle, l’altezza o la presumibile età, ma il genere. La prima grande operazione, quasi inconscia, che compiamo è quella di suddividere e racchiudere in due insiemi ben distinti l’esemplare maschio e l’ esemplare femmina.
Perché? Credo si tratti di un istinto primordiale legato alla sessualità e alla riproduzione che è innato e insopprimibile e perciò, necessariamente, giustificabile. Quando dunque incontriamo personaggi difficilmente classificabili i nostri sensi primordiali ricevono segnali contradditori e vanno in tilt. L’equivocità genera curiosità, fastidio e, a volte, paura. Ecco perché è così necessario per noi interrogarsi sul genere e avere una risposta.
Non è pura curiosità, ma istinto. Detto questo, ci tengo a precisare che quanto è lecito placare il bisogno di chiarezza tanto ha da essere bandita ogni forma di commento offensivo. Il nostro corpo e il nostro istinto autorizzano la naturalezza della domanda, i pregiudizi che generano calunnia, invece, provengono esclusivamente dall’educazione e dal tessuto sociale in cui siamo stati cuciti. Ai primordi dell’umanità la perfezione non era prerogativa del genere maschile o del genere femminile, bensì, era da ricercarsi nell’androginia cioè, per usare le parole dello storico delle religioni Mircea Eliade, in una sorta di coincidentia oppositorum, di perfetta unione dei contrari.
Nell’androgino infatti coesistono aspetti esteriori e comportamenti propri di entrambi i sessi. Se, oggi, questa condizione di ambiguità, di non marcata separazione delle caratteristiche maschili o femminili di un individuo può suscitare nei soliti “benpensanti” ilarità, disapprovazione o addirittura aperti insulti, presso le culture antiche era ammirata come la forma più vicina alla perfezione divina.
Famoso è il mito greco delle origini che narra delle prime creature umane, tutte androgine, tanto forti e potenti da tentare la scalata dell’Olimpo e costringere Zeus a punirli mandando fulmini per dividerli a metà generando così uomini e donne. Da allora in una visione romantica del mito le due metà vagano per il mondo in cerca l’una dell’altra aspirando a ricreare quella primordiale unione perfetta.
Diverse testimonianze di una originaria bisessualità divina si trovano presso antiche tradizioni: non mancano rappresentazioni di Iside androgina, di Afrodite fallica o di Venere barbata. Questo accadeva in tempi antichi, ma una venerazione per l’androginia esiste ancora presso alcune tribù che conservano costumi lontani che si perdono nella notte dei tempi..
Per esempio, la mitologia degli Aranda, aborigeni dell’Australia centrale, racconta che un tempo ogni vivente umano era di tipo androgino finché Altjira, il primo padre, li divise in uomini e donne e da allora essi si desiderano ardentemente l’un l’altro allo scopo di congiungersi e divenire simili al primo padre che era bisessuale. Poiché alcune parti del corpo, quali la bocca le orecchie l’occhio, le narici simboleggiano in qualche modo il sesso femminile e le braccia, le dita , il naso e il collo sono caratteristiche simboliche di sesso maschile, presso gli Aranda furono istituiti dei riti di iniziazione volti a femminilizzare caratteristiche maschili anche con procedure cruente quali la circoncisione, la rottura di un dente, l’apposizione di un anello al naso.
In conclusione, se molti di noi alla confusione di genere reagiscono con fastidio e disgusto, altri scorgono in essa una perfezione tale da cercarla artificialmente.