La tragedia ha sconvolto la comunità etnea ma orrore e incredulità per un atto criminale cosi efferato devono far riflettere. La madre della bimba morta ammazzata avrebbe agito con fredda e lucida determinazione per motivi assurdi che soltanto la sua mente malvagia hanno potuto giustificare.
Tremestieri Etneo – E’ stato l’arcivescovo metropolita di Catania, monsignor Luigi Renna, a celebrare i funerali della piccola Elena Dal Pozzo, 5 anni, nel duomo del capoluogo etneo. In chiesa una folla incontenibile di persone ha reso omaggio alle spoglie della bimba uccisa a coltellate dalla madre Martina Patti.
Ancora dolore e commozione, ancora incredulità e rabbia. Ma anche una qualche responsabilità per chi sapeva, sospettava ed ha taciuto. Martina Patti, casalinga di 23 anni, é una donna con diversi problemi ed i suoi comportamenti pare fossero noti a parenti, amici e conoscenti.
Tanto da studiare un piano strategico per ammazzare la figlia, con la sua mente limitata aveva pianificato tutti i minimi particolari, poi risultati cosi vacillanti da crollare come un castello di sabbia. In carcere la donna non avrebbe dimostrato pentimento alcuno, segno evidente di convinzioni inconsce che giustificherebbero il suo efferato atto criminale:
”…L’unica spiegazione logica e plausibile della dinamica degli eventi – scrive in atti la Gip Daniela Monaco Crea dopo l’interrogatorio dell’indagata – è che Elena sia stata vittima di un preordinato gesto criminoso, meditato e studiato… Si era infatti procurata gli attrezzi per scavare la buca, aveva individuato un luogo impervio e isolato dove seppellire il cadavere e che, uscendo da casa in compagnia della figlia ancora viva, aveva portato con sé un coltello e ben cinque sacchi della spazzatura necessari per la completa esecuzione del delitto, aveva poi occultato l’arma e posto in essere la condotta di lucido depistaggio attuata dopo essersi ricomposta…Condotta che non appare minimamente estemporanea, ma che risulta meditata e studiata e conseguenza di una estrema lucidità…”.
La donna, fra le tante incongruenze del suo racconto, contraddizioni ed altrettanti buchi di memoria, veri o falsi che siano stati, ha riferito agli inquirenti una sola frase in cui è contenuto tutto l’orrore del gesto infanticida: “…Non volevo guardare, mi sono girata mentre la colpivo…”. E’ possibile ammazzare la propria figlia perché dimostrava affetto nei confronti della nuova compagna dell’ex marito? Evidentemente si, ma non è detto:
”…La descrizione degli eventi non riflette una chiara causale scatenante il gesto delittuoso – chiarisce la Gip Monaco Crea – ciò non può non refluire sulla valutazione della spinta al reato, che manca totalmente di quel minimo di consistenza che possa consentire alla coscienza collettiva di operare un collegamento minimamente accettabile con tale innaturale azione criminosa…
…Uccidere un figlio in tenera età, e quindi particolarmente indifeso, oltre a integrare un gravissimo delitto, è un comportamento innaturale, ripugnante, eticamente immorale, riprovevole e disprezzabile, per nulla accettabile in alcun contesto sociale, familiare, culturale e ambientale, ciò che consente di trarne un indice di istinto criminale più spiccato e di un elevato grado di pericolosità dell’indagata e di ritenere quindi integrata anche la detta circostanza aggravante…”.
La presunta assassina rimane in galera a seguito della convalida del suo arresto considerata la sua pericolosità sociale in uno con la possibilità di reiterare gesti violenti. Dunque una volta sola, sotto il sole caldissimo e accecante, Martina Patti ha infilato la testa della figlia in un sacchetto delle immondizie e avrebbe iniziato ad accoltellare la piccola che non sarebbe deceduta subito ma dopo l’abbandono del corpicino nella buca. Orrore, e ancora orrore. Dunque lucida, calcolatrice, perfettamente nelle condizioni di intendere e volere durante la macabra esecuzione. Di contro una donna debole, ancora innamorata e gelosa dell’ex partner, come si conviene ad una doppia personalità criminale:
”…La ragazza ha confessato – si legge in atti – solo dopo che suo padre la rassicurava che il suo sentimento per lei non sarebbe mutato qualunque azione avesse commesso…”. Sul luogo del delitto è stato rinvenuto il corpicino della bimbetta che indossava solo una maglietta. Accanto i pantaloncini gialli e cinque sacchi neri di plastica. A qualche metro di distanza due pezzi di ferro e una pala. Tutto l’occorrente per ammazzare senza pietà la povera Elena che abbracciava e baciava la mamma poco prima. Solo allora il mostro si è placato.