Anche in Sicilia campagna elettorale flaccida

Il malcontento dei Siciliani è pari se non superiore a quello di tutti gli altri cittadini italiani beffati da decenni di promesse mai mantenute. Nelle liste sono presenti personaggi fuoriusciti da altri partiti la cui credibilità è vicina allo zero. Gli elettori, nel segreto dell’urna, sapranno valutare bene lo spessore politico dei candidati.

Roma – Nell’attuale campagna elettorale la Sicilia rappresenta il cuore pulsante di un organismo elettorale importante e contesissimo che si estende dalla Campania alla Puglia, passando per la Calabria. Occhi puntati, in particolare, sull’election-day che coinvolgerà l’isola il 25 settembre dove si voterà in contemporanea per le politiche e le regionali. Non solo Meloni e Salvini hanno assicurato la loro presenza, ma anche il leader di Azione Carlo Calenda ha dedicato più giorni alla campagna siciliana, tra Palermo e Catania.

Segno della necessità di farsi sentire sul territorio e non soltanto sui social, sui quali è molto attivo. D’altronde non è un caso se si parla della Sicilia per uno dei pochi appuntamenti previsti per Silvio Berlusconi, che per il resto punta sulla “pillola del giorno” da diffondere in Tv e sui social, compreso Tik-Tok. Nell’Isola però la sfida tra Pd e M5s è quella a cui si guarda con maggiore interesse. Nell’area progressista, infatti, dopo la rottura con il Partito democratico decisa da Giuseppe Conte, si aspetta con ansia per vedere non solo chi vincerà la partita ma se la somma dei due partiti avrebbe potuto permettere a Caterina Chinnici di vincere la competizione elettorale, Cateno De Luca permettendo.

Peraltro in Sicilia, da sempre considerata “laboratorio politico” e terra del 61 a 0 del centrodestra nei collegi uninominali, sono attesi anche i leader pentastellati e del Pd, per “la sfida nella sfida”. Enrico Letta come si sa non perdona al M5s la doppia rottura politica, la prima riguardo il sostegno al governo Draghi e la seconda sull’appoggio a Caterina Chinnici nella corsa a governatore dell’isola, dalla cui scelta è nata la candidatura di Nuccio Di Paola. Anche se la responsabilità della fine dell’alleanza giallo-rossa non è possibile attribuirla interamente al M5s, ma alle strategie di Letta e del gruppo dirigente rivelatesi in seguito perdenti e di scarsa prospettiva.

In ogni caso l’attenzione per il Sud e i progetti per questa area del Paese potrebbero infatti fare la differenza in termini di consenso elettorale. Tant’è che da Fratelli d’Italia alla Lega, dal Pd ad Azione, fino a Fi ed ai 5 Stelle, pensano al riscatto proprio partendo da queste piazze. Il voto disgiunto, però, potrebbe rappresentare il vero pericolo, indipendentemente dal candidato presidente che prenderà anche un voto in più. La stabilità del governo, infatti, potrà essere assicurata solo da una maggioranza omogenea in grado di sorreggerlo. Questa purtroppo sembra una chimera, basti pensare a Musumeci che nel 2018 vinse con il 39,8 % dei consensi per poi ritrovarsi con una maggioranza sempre in bilico.

“…I veri avversari di tutti i candidati non sono i competitor di questa campagna elettorale – afferma Renato Schifani – ma la disoccupazione, la criminalità, la crisi giovanile, le infrastrutture colabrodo, i continui viaggi della speranza…”. Già sentita questa affermazione ormai datata e sfruttata da tutti negli anni.

Cateno De Luca, candidato governatore per “Sicilia Vera”, cavalca la rabbia e il malessere imitando, con il suo consueto stile, il M5s di cinque anni fa. I grillini del Vaffa-day che vinsero come primo partito le elezioni nazionali e regionali, senza dare seguito promesse fatte. Anzi. Comunque in futuro il vero problema sarà l’aula parlamentare che è stata sempre frutto di mediazioni. Ma la grande anomalia che porta all’instabilità, in Sicilia come altrove, è il voto segreto che viene usato su ogni provvedimento di legge mentre alla Camera e al Senato ci si avvale di questo strumento solo per le norme che riguardano i diritti dei cittadini e delle minoranze. I dubbi che si riesca a modificare il regolamento e che l’Ars voglia rinunciare al voto segreto sono tantissimi. Altrimenti sarebbe più difficile impallinare il governo.

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