La pizza è un’icona del cibo italiano che ha una lunga tradizione e che ha sempre saputo adeguarsi a tempi e circostanze. Ha conquistato altri Paesi e di recente in Italia ha avuto una rivisitazione in chiave gourmet.
Roma – La pizza, a ragione, fa parte, della gastronomia di tutti i popoli. Eppure una volta quelli che abitavano il Mediterraneo la utilizzavano come base per appoggiarvici altre pietanze. Poi, nel corso degli anni, è diventato una sorta di pronto soccorso dello stomaco. Andava bene a colazione, pranzo e cena. Perché ancestrale era la fame che caratterizzava il popolo partenopeo.
C’è da dire che l’impasto di una volta prevedeva una lunga digestione, perché doveva allungare il senso di sazietà. Al contrario di oggi, in cui essendo diventata la pietanza più diffusa al mondo, la pizza viene sfornata con una pasta sempre più lieve, quasi che si volatilizza. Infatti, poco dopo si ha ancora fame. Segno dei tempi, protagonista indiscussa dello street food, si ha bisogno di una pietanza gustosa, rapida e di facile uso e la pizza soddisfa queste caratteristiche. In ogni epoca storica, dai suoi albori, ha sempre rappresentato il suo tempo dimostrando una grande capacità di adeguarsi alle circostanze, che è stata la sua qualità vincente.
Secondo la vulgata storica l’arte della pizza risale all’antica Roma e ai popoli che abitavano il Mediterraneo. Pare che discenda dalla mensae, le schiacciate di grano cotte al forno utilizzate per poggiarci cibo. Tanto che negli scavi di Pompei e nella Napoli del V secolo a.C. ne sono stati rinvenuti di simili. Col passar del tempo, la pizza si è internazionalizzata grazie alla sua capacità di integrarsi con le culture gastronomiche di altri popoli. Ognuno la prepara come meglio crede, come più si adatta alle tradizioni culinarie del luogo. Ad esempio, in Mongolia viene preparata col montone. A Mumbai, in India, con pollo, mandorle e curry. Si potrebbe dire: “Paese che vai, pizza che trovi”, tanta è la sua capacità di integrarsi col cibo di altri popoli.
Da cibo povero com’era considerato, ora è diventato simbolo di lusso. Come al Nino’s Restaurant di New York, dove il titolare albanese Nino Selimaj, ha sfornato la “Bellissima”. È stata preparata con tre varietà di caviale, aragosta selvaggia, erba cipollina e panna. Alla modica cifra di 1.200 dollari per quella intera e 95 per un trancio. “Alla faccia del bicarbonato di sodio” si potrebbe dire esprimendo stupore, come esclamò il grande Totò nel film Fifa e arena del 1948. Si narra che nel 1835 Alexandre Dumas quando visitò per la prima volta Napoli, si entusiasmò per la “pizza alla marinara”, perché dietro all’apparente sobrietà, si celava una ricchezza straordinaria di opposti.
Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e l’Unesco ha nominato “The art of Neapolitan Pizzaiuolo” tra i patrimoni dell’umanità. Ed è diventata anche simbolo di solidarietà. Adesso c’è la pizza sospesa, non solo il caffè. Un’antica usanza napoletana per cui si consumava un caffè, pagandone due. Il secondo era per uno sconosciuto meno fortunato. Così per la pizza che è diventata simbolo di conforto per gli ultimi, soprattutto per chi non ha nessuno e si trova in uno stato di estremo bisogno. Quindi, altro che fast food. Qui ci troviamo di fronte a una pietanza che è il vero simbolo del cibo come “cultura, innovazione e tradizione popolare”.