L’Ocse fotografa la situazione del Belpaese che non è tra i “magnifici 8” che stanno meglio: al 1 posto il Lussemburgo con 75mila euro annui.
Roma – Gli stipendi degli italiani sono sempre più leggeri. Che gli stipendi dei lavoratori del Belpaese non fossero in buona salute è noto da tempo, soprattutto ai percettori di redditi così bassi, per i quali è una vera impresa poter sbarcare il lunario. A fotografare la situazione ci ha pensato l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), un’organizzazione internazionale di studi economici per i paesi aventi in comune un sistema di governo di tipo democratico ed un’economia di mercato. La causa ricorrente in molte analisi di questo tipo, da cui sono scaturiti molti problemi, è stata la pandemia.
Se si guarda ai salari e al costo della vita, emerge una criticità comune a molti Paesi europei. Solo 8 Stati, infatti, rispetto al periodo precedente all’arrivo del terrificante virus, hanno visto una crescita dei salari, attraverso cui i lavoratori hanno potuto contrastare l’inflazione. L’Italia (vatti a sbagliare) non fa parte dei “magnifici otto” ed è in fondo alla classifica anche per l’aumento dei salari. Dal 2019 al 2022 si sono volatizzati dalle tasche dei lavoratori 1000 euro, come se una mano si fosse introdotta furtivamente per sottarne una cifra che, per chi vive di stipendio, ha famiglia ed è monoreddito, è di un certo spessore. Malgrado gli aumenti degli stipendi in molti Paesi europei, in 20 dei 35 oggetto dello studio, ancora non sono stati raggiunti i livelli del 2019. Oltre alla pandemia, ha giocato un ruolo decisivo l’inflazioni legata alla crisi energetica. Secondo l’OCSE, il colpo finale è stato inferto dalla guerra tra la Russia e l’Ucraina, a cui si è aggiunto l’inasprimento del conflitto tra Palestina ed Israele.
E così, come una reazione a catena, sono cresciuti i costi dei beni di prima necessità ed energetici. Gli anni più devastanti per l’economia sono stati il 2021 e il 2022. La retorica sull’aumento dei salari e stipendi, tanto esaltata dalle forze governative, anche se corrisponde al vero dal punto di vista del mero valore numerico, tuttavia, risulta una pia illusione perché ci ha pensato l’inflazione a neutralizzarlo. Dunque l’equilibrio tra costo della vita e stipendi è ancora lontano dal realizzarsi. Nel 2022 lo stipendio medio in Italia era di 42 mila euro annui, mentre nel 2019 di 43 mila. Niente a che vedere con i dati del Lussemburgo, il Paese europeo più in salute, che ha registrato un reddito medio annuo di 75 mila euro, il 5% maggiore rispetto al periodo antecedente la pandemia.
Questo dato va sottolineato, perché è possibile una crescita economica anche se i contesti economici, sociali e politici sono diversi. Quello che stride è, che, a volte, le succitate cause della crisi economica, dell’inflazione e, infine, del mancato aumento, di fatto, dei salari, vengono elencate come un refrain, una sorta di ”pezza a colori”, come si dice nella tradizione popolare meridionale italiana. Vale a dire, un modo truffaldino di simulare, di trovare un sotterfugio per camuffare, piuttosto che per trovare una soluzione.
Manca, soprattutto, una vera politica dei redditi, che l’economia definisce come un piano che prevede la concertazione tra governo, imprenditori e forze sociali per accrescere i salari sulla base dell’aumento della produzione e degli utili d’impresa. Solo, in questo modo, forse, si potrà sperare di non percepire redditi quasi da fame e permettere alle famiglie medie italiane di condurre una vita più dignitosa di quella attuale, ad un passo dal baratro della povertà. Mala tempora currunt, dicevano i nostri padri latini!