Le recenti e gravi crisi hanno ampliato disparità e fratture sociali, inaugurando quello che viene considerato il “decennio di grandi divari”.
Roma – Le multinazionali creano disuguaglianze. Dal 15 al 19 gennaio scorso si è tenuto a Davos, località sciistica delle Alpi svizzere, il consueto forum economico mondiale che si tiene ogni anno. In questa occasione Oxfam -una Onlus (organizzazione non lucrativa di utilità sociale) per la lotta alle disuguaglianze- ha presentato il report “Disuguaglianza. Il potere a servizio di pochi”. I dati emersi sono drammatici: più di 4,8 miliardi sono state le vittime… predilette dell’ondata inflazionistica di questi ultimi anni. Al contempo, però i patrimoni dei miliardari sono cresciuti a dismisura, fino a tre volte in più dei livelli precedenti all’inflazione.
Ma non solo loro si sono trovati col portafoglio più gonfio, anche le multinazionali non sono state a guardare. In primis le compagnie petrolifere e del gas che hanno tesaurizzato a loro favore le criticità dell’economia, come l’invasione russa dell’Ucraina. Il divario tra lavoratori e management si è accentuato, con quest’ultimo che ha registrato una crescita delle retribuzioni pari, in media, al 1200% tra il 1978 e il 2022. Mentre i primi hanno visto disperso il loro potere, così come la loro sindacalizzazione. E’ chiaro che questo processo di concentrazione del potere economico in atto è un grave danno per le sorti della democrazia.
Inoltre, la pandemia e l’inflazione sono state una miscela esplosiva: hanno prodotto molto lavoro povero, con cui non si guadagna tanto da andare oltre la soglia della povertà. Si è assistito, infatti, ad un proliferare di lavoro precario, senza garanzie, che ha prodotto una competizione tra imprese non basato sull’innovazione, ma sul lavoro a basso costo. Le grandi imprese internazionali, con gli enormi strumenti di pressione a loro disposizione, che esercitano sui governi nazionali, sono state agevolate anche da normative favorevoli sugli obblighi fiscali, che incentivano l’elusione e l’evasione.
Secondo alcune stime, nel 2022, ben 1000 miliardi di profitti di grandi multinazionali hanno preso il volo verso i paradisi fiscali, sfuggendo, quindi, alle tassazioni nazionali. L’influenza monopolistica delle multinazionali sulle politiche sociali degli Stati è manifesta con la privatizzazione dei servizi pubblici, come sanità, istruzione, acqua. Secondo gli autori del rapporto, urge un’inversione di tendenza. Iniziando da un’equa politica di distribuzione del reddito, dal potenziamento del welfare state, in modo che i più bisognosi possano avere una giusta tutela ed un’economia più inclusiva.
Questi desideri vanno accompagnati da una seria politica fiscale, orientata verso un’imposta patrimoniale sulle grandi ricchezze. Per attuare una politica di questo tipo, andrebbero aboliti i condoni di vario tipo, che rappresentano una sorta di legalizzazione e legittimazione dell’irregolarità e dei reati. Infine, per il contrasto al lavoro povero, l’introduzione del “salario minimo” offrirebbe a più di 500 mila lavoratori uno stipendio decente. L’attuale governo non sembra orientato all’attuazione di politiche di questo tipo, tutt’altro.
Sembra marciare in senso contrario a questi intendimenti. Ma nemmeno la controparte, l’opposizione, pare avere un orizzonte chiaro e definitivo. Quindi, “Non ci resta che piangere”, tanto per parafrasare il film del 1984 di Massimo Troisi e Roberto Benigni, o sperare nella Divina Provvidenza. Perché confidare nell’attuale classe dirigente è come credere all’esistenza della befana!