Dopo gli scandali del caso Palamara la Giustizia italiana deve ritrovare la fiducia nei cittadini e cambiare “registro”. Ne va della propria credibilità e immagine che negli ultimi anni anni hanno subito forti destabilizzazioni. Con la riforma ancora in corso le cose si complicano e l’aria che tira non è per nulla buona.
Roma – Amministrare la Giustizia e garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura ordinaria, per il buon funzionamento di Tribunali e Procure, non è mai stato semplice. Adesso con tutti gli occhi puntati addosso sembra un’operazione titanica e, per tante motivazioni, sospetta. E’ forse necessario, soprattutto nel Csm, ancora un po’ di tempo per eliminare nebbie e scandali provocati dal caso “Palamara”.
Le acque, però, sono ancora agitate all’interno del “sistema” di assegnazioni, incarichi, trasferimenti e promozioni. In ogni caso il Csm, ancora nella bufera per il progetto di riforma della Giustizia, accelera l’iter per designare il nuovo capo dell’antimafia. Si stringono i tempi per ricoprire l’incarico rimasto senza titolare dallo scorso febbraio, da quando è andato in pensione Federico Cafiero De Raho.
I componenti del “parlamentino dei giudici” così come erano divisi sulla scelta del Procuratore di Milano, restano anche oggi spaccati sul vertice della Direzione Nazionale Antimafia. Nonostante il lavoro di mediazione durato due giorni, le divisioni ancora sono tante. Infatti è fallito ogni tentativo di ricondurre ad una rosa di due nomi le proposte per l’importante incarico.
In tal modo la V Commissione, quella per gli incarichi direttivi presieduta da Antonio D’Amato, ha votato la proposta di delibera per l’incarico di Procuratore Nazionale Antimafia. Due voti sono andati al Procuratore Capo di Catanzaro Nicola Gratteri, sostenuto dai consiglieri Sebastiano Ardita e Fulvio Gigliotti.
Due voti al Procuratore aggiunto della Dna Giovanni Russo, scelto dai consiglieri Antonio D’Amato e Alessio Lanzi. Un voto, infine, per il Procuratore di Napoli Giovanni Melillo sostenuto dal consigliere Alessandra Dal Moro. Astenuto il consigliere Michele Ciambellini.
Melillo è Procuratore di Napoli dal 2 agosto 2017. E’ stato sempre ai vertici degli incarichi giudiziari, sia come Pm alla Procura nazionale e Procuratore aggiunto a Napoli, sia nell’ufficio giuridico del Quirinale e poi, anche, come capo di gabinetto dell’allora Guardasigilli Andrea Orlando.
Russo, fratello del deputato di Fi Paolo, è stato a lungo Pm anticamorra e poi alla Procura nazionale dove è divenuto reggente dell’ufficio dopo il pensionamento di Cafiero de Raho.
In corsa per la Dna c’è anche Gratteri che, nel gioco di incastri e scacchi delle Procure, potrebbe trovarsi in pole position per Napoli, in caso di nomina di Melillo alla Direzione Nazionale Antimafia. Una decisione molto travagliata e complessa, quella adottata dalla V commissione del Csm, per essersi inevitabilmente trasferite in commissione e nell’organo di autogoverno dei magistrati, tutte le incomprensioni che si stanno evidenziando sul fronte politico.
Gratteri, infatti, allo stato attuale è stato sostenuto dall’area politica del Movimento Cinque Stelle che in quinta commissione è rappresentata dal consigliere laico Fulvio Gigliotti e dalla corrente “Autonomia e Indipendenza”, fondata dall’ex Pm di Milano Piercamillo Davigo, e oggi portata avanti in Consiglio dai consiglieri togati Sebastiano Ardita e Giuseppe Marra.
A questo punto è facilmente ipotizzabile, alla luce dei fatti, che Nicola Gratteri possa avere anche il sostegno in Plenum di Nino Di Matteo, ex Pm nazionale antimafia. Giovanni Russo, invece, è stato scelto dall’area moderata e liberale. Vale a dire da Antonio D’Amato, consigliere togato di Magistratura indipendente e dal consigliere laico Alessio Lanzi, eletto in quota Forza Italia.
Quello che appare certo è che la scelta dell’assemblea plenaria non sarà facile con il rischio di andare al ballottaggio, salvo che finisca come nel caso della Procura di Milano, dove il magistrato Marcello Viola ha sbaragliato la concorrenza ottenendo tredici voti. Votazione che, peraltro, ha registrato proprio la sconfitta dell’area Dg, cioè della sinistra giudiziaria che comprende anche Magistratura Democratica.