Women’s independence: pochi passi avanti

Nonostante il boom di nuove imprese al femminile i problemi rimangono e frenano gli entusiasmi e, spesso, anche la voglia di scommettere su sè stesse.

Roma – In Italia c’è una grande escalation di aziende al femminile nuove di zecca. La presenza di aziende femminili è strettamente legata all’indipendenza economica delle donne e alla violenza di genere. Più si dipende dal punto di vista economico dal proprio compagno, partner o marito, più si accrescono i rischi di soprusi, maltrattamenti e violenze di vario tipo.

Non avere un’autonomia finanziaria per le donne è un grave vulnus, in quanto questa condizione è come trovarsi in un vicolo cieco. Gli ultimi dati diffusi dall’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica) sui centri antiviolenza nel nostro Paese confermano questa tendenza. Le loro richieste principali sono l’ascolto e l’accoglienza, ma anche di poter disporre di un lavoro e di una casa. Secondo uno studio dell’Università di Genova, la violenza economica è prevaricazione tout-court, utilizzata come estensione del potere di controllo maschile all’interno della coppia. Essa si realizza in svariati modi: escludendo la componente femminile dalla gestione del reddito, eliminando l’accesso alle risorse finanziarie e privando della possibilità di prendere decisioni in materia.

Queste condizioni materiali sussistono ancora a causa della sopravvivenza di convinzioni saldamente consolidate nel tempo. In particolare, l’idea che esista un’incapacità strutturale delle donne a gestire il denaro: le problematiche finanziarie non sarebbero nelle loro corde, mentre spetterebbe ai maschi il compito di controllare la “cassa”. Poiché, sin dagli albori delle società, è la struttura economica a determinare quella immateriale, è comprensibile che, essendo scarsa o nulla la prima, si perda qualsiasi tipo di potere decisionale, rendendo le donne più soggette a subire ricatti di vario tipo.

Boom di imprese femminili: nel 2023 oltre 1,3 milioni in Italia, pari al 25% del totale

Malgrado nel contesto socioeconomico italiano il ruolo femminile sia ancora marginale, sia per posizioni occupate che per retribuzioni ricevute, oggi si assiste a un vero boom di nascite di aziende al femminile. Nel 2023, in base ai dati diffusi da ISTAT e Unioncamere (l’ente pubblico che rappresenta il sistema camerale italiano), le aziende “donne” sono più di 1,3 milioni, pari a ¼ della composizione produttiva del Paese. Anzi, queste realtà riescono a farsi valere anche in Europa, dove la quota di investimenti attratti da aziende femminili è passata dal 5,4% del 2014 al 9,6% del 2023, pari a una crescita del 77%.

Per un’azienda appena nata, riuscire a entrare nel novero delle compagnie con una valutazione di 1 miliardo di dollari è una meta molto ambita. Ebbene, nel 2023 le aziende femminili che hanno tagliato questo traguardo sono state 35, mentre nel 2019 erano solo 14. Il numero più alto, 15, ha sede nel Regno Unito, 5 in Germania, 3 in Svezia, Italia e Francia. Gli investimenti in questo settore variano: si passa dal 52,8% della Lituania, in prima fila nell’innovazione al femminile, allo 0,7% di Bosnia-Erzegovina e Croazia.

Se consideriamo i maggiori Paesi dell’Unione Europea (UE), a primeggiare è la Spagna con il 13,3%, seguita dall’Italia con il 10,8%, che supera di poco Regno Unito e Francia (entrambe al 10,4%), e dalla Germania all’8,8%. Quest’ultimo dato può sorprendere, considerando che la Germania era fino a qualche decennio fa considerata la “locomotiva d’Europa”. Oggi, però, sembra che la locomotiva sia in officina, in attesa che arrivi la quiete dopo la tempesta. I settori scelti dagli investimenti hanno riguardato il sanitario, il fintech e lo sviluppo software. Ci si augura che questo sia solo il primo passo a favore dell’imprenditoria femminile. D’altronde, se l’impresa, o azienda che dir si voglia, è di genere femminile dal punto di vista grammaticale, che lo sia anche dal punto di vista economico e sociale!

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