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La disuguaglianza di genere è indice di povertà

Il grado di parità tra uomo e donna si riflette anche in ambito economico. E questo è un punto sul quale si sono aperte riflessioni a livello globale. Al momento, sono i Paesi dell’Europa del Nord a rappresentare un esempio virtuoso di politiche e di servizi a supporto delle donne che lavorano, contribuendo, in questo modo, al superamento (nei fatti) del gender gap.

Roma – La disuguaglianza di genere, ovvero il divario esistente in ogni ambito della vita sociale tra maschi e femmine, è un tratto caratteristico del nostro Paese. Il World Economic Forum (WEF) pubblica ogni anno un report sullo stato di salute di società, economia e ambiente. Nel “Global Gender Gap Report” del 2022 l’Italia occupa il 63° posto in classifica al mondo e il 25° su 35 in Europa. Secondo un recente studio: “La disuguaglianza di genere come ostacolo alla crescita economica: una revisione della letteratura teorica”, il divario di reddito tra uomini e donne produce effetti sulla crescita economica attraverso due fattori: il primo impone al gentil sesso la responsabilità dell’educazione dei figli e il lavoro domestico, il secondo comporta meno investimenti nell’istruzione delle figlie femmine, togliendo capitale umano alla crescita economica.

L’economia non potrà mai essere solida se viene a mancare l’uguaglianza di genere. Secondo alcune stime, riducendo del 50% il gender gap, il PIL (Prodotto Interno Lordo) crescerebbe del 6% in Europa entro il 2030. Inoltre, negli Stati con più donne come ministri o in Parlamento, la disuguaglianza diminuisce e cresce la spesa per il welfare.

A ribadirlo è l’OCSE (l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa), secondo cui, ad esempio, in Norvegia l’assistenza all’infanzia è diventata universale, mentre in Italia 6 bambini su 10 non accedono ai nidi. Una tale politica ha permesso la crescita di occupazione delle madri del 32%, permettendo, inoltre, l’aumento del livello di fertilità.

Laddove non sussiste uguaglianza di genere, la natalità è in calo

Si può essere, quindi, sia madri che lavoratrici. Se ci fosse una “politica” volta all’interesse generale”, l’orizzonte sarebbe orientato a una riforma della tassazione e della spesa pubblica. Inoltre, alla modifica delle infrastrutture e del mercato del lavoro. Tutti interventi che producono un aumento dell’occupazione femminile e alla crescita economica del Paese, come la Norvegia dimostra.

C’è un altro aspetto da rimarcare. Cioè la relazione tra tassi di fertilità e occupazione femminile. In una concezione tradizionale, con il maschio lavoratore e la donna che alleva i figli, il decremento della fertilità viene associato alla crescita dell’occupazione femminile.

Ora, in una società in continuo movimento, è acclarato che ad alti tassi di lavoro femminile corrispondono più ricchezza e più figli. Ad esempio, nell’Europa del Nord i tassi di fertilità sono più altri, in quanto la disuguaglianza di genere è molto bassa. Questo è il risultato di una politica orientata all’erogazione di servizi per l’infanzia e la famiglia, che godono di molti finanziamenti facilmente accessibili.

Al contrario dell’Italia, dove da decenni si continua a parlare di famiglia, ma nei fatti si fa poco o nulla. La parità di genere, se è una condizione necessaria per un Paese come il nostro, almeno dal punto di vista economico non è, tuttavia, sufficiente, perché la tradizione sul ruolo femminile è dura a morire.

Nel nostro Paese, la donna ancora si divide faticosamente tra ruolo di madre e carriera

Per molte donne italiane, il lavoro ha rappresentato un dura scelta tra la carriera e le responsabilità familiari, che forse, per fattori culturali sono più sentite rispetto ai maschi. Una scelta che nessuna donna dovrebbe essere costretta a fare. Soprattutto in uno Stato che si ritiene democratico, in cui i diritti di cittadinanza devono essere goduti nei fatti e non essere una mera enunciazione teorica. Sarà possibile, nel nostro bistrattato Paese, realizzare la parità di genere?

Molto difficile, se non cambia la concezione stessa di famiglia. Finora si è realizzata la sua visione distorta. Quella mafiosa e delle consorterie politiche, che agiscono e si insinuano più o meno latentemente per il propri interessi a detrimento del bene pubblico. Se non cambia questa visione arcaica, le chiacchiere si disperdono nel pulviscolo atmosferico…

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