Omicidio di Melania Rea 14 anni dopo: la rabbia del padre per Parolisi, il futuro di Vittoria

Trucidata con 35 coltellate dal marito, Salvatore Parolisi, di fronte alla figlia di 18 mesi. Condannato a 20 anni, il killer potrebbe uscire tra due anni.

Quattordici anni fa, era il 18 aprile 2025, Melania Rea, 29 anni, venne uccisa con 35 coltellate dal marito Salvatore Parolisi nel bosco di Ripe di Civitella, vicino Ascoli Piceno. Un femminicidio che sconvolse l’Italia, tra i primi a diventare un caso mediatico, e che ancora oggi brucia nel cuore di Gennaro Rea, padre di Melania. In un’intervista a Il Corriere della Sera, Gennaro esprime rabbia e frustrazione: Parolisi, condannato a 20 anni e detenuto a Bollate, potrebbe uscire nel 2027 grazie a sconti di pena, mentre la famiglia Rea continua a vivere il lutto per Melania e a proteggere Vittoria, la figlia 15enne della coppia, che rifiuta ogni contatto con il padre.

Ogni aprile, la famiglia Rea rivive il trauma della perdita di Melania, uccisa nel 2011 davanti alla figlia Vittoria, allora di 18 mesi. “Provo una rabbia che mi fa impazzire,” confessa Gennaro, 70 anni, al Corriere. La sua amarezza è doppia: da un lato, il dolore per la figlia, dall’altro, la consapevolezza che Salvatore Parolisi, definito “quell’essere immondo,” potrebbe presto tornare libero. Condannato a 20 anni per omicidio volontario, Parolisi ha scontato 14 anni e, con buona condotta e sconti di pena, potrebbe uscire tra due anni, nel 2027.

Gennaro non accetta che l’uomo che ha distrutto la sua famiglia possa “ricominciare una vita nuova,” mentre Melania è stata privata di tutto. “La morte di mia figlia non è servita”, lamenta, sottolineando come i femminicidi continuino a ritmo incessante: nel 2024, 89 donne sono state uccise in Italia, e il 2025 conta già 21 casi nei primi tre mesi. La mancanza di certezza della pena è, per lui, una delle cause: “Chi uccide una donna con 35 coltellate davanti alla sua bimba merita l’ergastolo, non la libertà dopo pochi anni.”

Gennaro punta il dito contro il sistema giudiziario e le istituzioni. La sentenza, che escluse l’aggravante della crudeltà definendo il delitto un “omicidio d’impeto” legato a una lite coniugale, è per lui un’ingiustizia. “Cos’altro doveva subire Melania oltre 35 coltellate?” si chiede, criticando i magistrati che, a suo avviso, non possono comprendere il dolore di una famiglia colpita da un femminicidio. La visita di alcuni parlamentari a detenuti come Parolisi, senza un’attenzione equivalente per le vittime, amplifica il senso di abbandono: “A noi familiari chi ci pensa?”

Salvatore Parolisi, ex caporalmaggiore dell’esercito, fu arrestato il 20 luglio 2011, tre mesi dopo il delitto. Il processo, seguito da milioni di italiani, rivelò una rete di infedeltà e tensioni coniugali: Parolisi intratteneva una relazione extraconiugale con una soldatessa, Ludovica Perrone, e Melania aveva scoperto i tradimenti. La Procura di Ascoli Piceno lo accusò di aver attirato la moglie nel bosco con la scusa di un picnic, per poi ucciderla in un raptus di rabbia, lasciando Vittoria nel seggiolone dell’auto.

Nel 2013, la Corte d’Assise di Teramo lo condannò all’ergastolo, ma la Corte d’Appello di Perugia, nel 2015, ridusse la pena a 30 anni, escludendo la premeditazione. La Cassazione, nel 2016, confermò la condanna ma la ridusse a 20 anni, non riconoscendo l’aggravante della crudeltà e definendo il delitto un’esplosione di ira. Questa decisione, che equiparò il caso a un omicidio passionale, è ancora oggi contestata dalla famiglia Rea. Parolisi, che si è sempre dichiarato innocente, è detenuto nel carcere di Bollate, dove ha beneficiato di permessi premio e riduzioni di pena per buona condotta. Il detenuto ha scontato circa due terzi della pena e potrebbe accedere alla semilibertà o alla libertà condizionale entro il 2027.

La sentenza ha stabilito che Parolisi debba versare un risarcimento di 1 milione di euro alla famiglia Rea e un altro milione a Vittoria, che ha perso entrambi i genitori: la madre per l’omicidio, il padre per la condanna e la perdita della potestà genitoriale. Gennaro è determinato a garantire che Parolisi paghi: “I nostri legali gli staranno con il fiato sul collo. Quei soldi serviranno per il futuro di Vittoria, e lui non potrà fare la bella vita.” L’ex militare, attualmente senza reddito, potrebbe essere costretto a lavorare per saldare il debito una volta libero.

Vittoria Rea, oggi 15enne, è cresciuta con i nonni materni, Gennaro e Vittoria Sciaudone, a Somma Vesuviana (Napoli). Descritta come una ragazza giudiziosa e studiosa, frequenta il secondo anno di liceo e somiglia molto alla madre, sia nell’aspetto che nel carattere. La tragedia l’ha segnata profondamente: a 18 mesi, era presente quando il padre uccise Melania, un trauma che ha influenzato la sua vita. Ha scelto di cambiare il cognome, adottando quello materno, e rifiuta ogni riferimento a Parolisi.


Vittoria non ha mai ricevuto lettere o richieste di contatto dal padre, che non si è mai informato sulla sua crescita. Gennaro sottolinea l’indifferenza di Parolisi: “Che padre è uno che non sa nulla di sua figlia?” La ragazza, supportata dalla famiglia e da percorsi di assistenza psicologica, sta costruendo il suo futuro, ma il timore che Parolisi possa cercare di rivederla dopo la scarcerazione inquieta i nonni, che sono determinati a proteggere Vittoria da qualsiasi tentativo di riavvicinamento da parte di Parolisi. “Qui non troverà mai porte aperte al perdono”.

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