L’intervista: Gimbe “Rilanciare il capitale umano della Sanità pubblica per uscire dalla crisi”

La ricetta del presidente Nino Cartabellotta per superare le tante criticità del sistema sanitario. Personale pronto ad un nuovo sciopero.

Roma – La Sanità pubblica attraversa un crisi davvero senza precedenti. Le risposte della politica sono parziali e insufficienti e i camici – non solo bianchi – minacciano un nuovo sciopero. E le riforme strutturali latitano. Ecco perché serve un urgente cambio di rotta ed è fondamentale rilanciare il capitale umano, valorizzando la colonna portante del SSN rendendo nuovamente attrattiva la carriera in questo comparto. Altrimenti non si uscirà mai dalla crisi. A lanciare l’allarme è Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, che analizza tutte le criticità del sistema.

Anno nuovo problemi vecchi e irrisolti: la sanità è in forte crisi tra carenza di risorse, un Servizio Sanitario Nazionale che arranca, stipendi tra i più bassi d’Europa e il dilagante fenomeno dei gettonisti. Quali risposte ha dato la politica a questi problemi?

“Risposte della politica? Parziali e insufficientiesordisce il presidente Cartabellotta – La Manovra 2025 ha previsto un incremento del Fondo Sanitario Nazionale (FSN) di 2,5 miliardi di euro per il 2025, ma la metà di questa cifra era già stata stanziata dalla Manovra 2024. Il risultato? Un aumento reale di appena l’1%, che porta il totale a 136,5 miliardi. E guardando al futuro la situazione non migliora: a parte un +3% nel 2026, gli incrementi annui del FSN sono risibili: +0,4% nel 2027, +0,6% nel 2028, +0,7% nel 2029 e +0,8% nel 2030. Le misure per il personale sanitario contenute nell’ultima Legge di Bilancio non fanno molto per invertire la rotta. Le risorse devono coprire una lunga serie di rinnovi contrattuali, compresi quelli già scaduti e quelli futuri fino al 2030, per un totale di oltre 7 miliardi di euro: tuttavia, escludendo poche briciole, la maggior parte delle indennità, come quelle di specificità per medici, infermieri e altre figure sanitarie, entreranno in vigore solo dal 2026. Inoltre, latitano ancora le riforme strutturali, indispensabili per affrontare le criticità croniche come la carenza di personale e la disparità nell’erogazione dei servizi tra Nord e Sud. Tutto questo unito all’impossibilità per le Regioni di aumentare la spesa per il personale dipendente a causa dei tetti di spesa, negli anni ha fatto esplodere il fenomeno dei “gettonisti”: professionisti reclutati tramite cooperative e agenzie, con costi contabilizzati come spese per beni e servizi. Questo fenomeno è il sintomo di un sistema che non riesce più a valorizzare né a trattenere e motivare i suoi professionisti, mentre il definanziamento cronico continua a erodere i principi di universalità ed equità su cui si fonda il nostro SSN”.

Personale sanitario verso un nuovo sciopero

Il malessere e i disagi tra i medici stanno portando ad un’altra astensione dal lavoro. I camici bianchi incroceranno nuovamente le braccia?

È una possibilità concreta – aggiunge il presidente di Gimbe – Gli stipendi medi dei medici italiani sono più bassi rispetto alla media OCSE e dei Paesi europei: $ 116.484, contro i $ 207.397 della Germania. A questo si aggiunge una forza lavoro in costante riduzione, tra pensionamenti, burnout e demotivazione, che sta lasciando la sanità pubblica sempre più scoperta. Ciò ha inevitabilmente peggiorato la qualità e la sicurezza del lavoro per chi rimane, spesso costretto a turni massacranti in condizioni di carenza cronica di personale. A peggiorare il quadro c’è l’aumento dei casi di violenza fisica e verbale ai danni del personale sanitario, soprattutto nei pronto soccorso, diventati ormai un luogo di frontiera. Anche il peso della burocrazia e la scarsa digitalizzazione aggravano le difficoltà quotidiane, creando un mix esplosivo di inefficienza e frustrazione. Con queste premesse, è naturale aspettarsi un nuovo sciopero dei “camici”, e non solo di quelli bianchi.

Le aggressioni al personale sanitario

La carenza di medici e infermieri del comparto pubblico alimenta il fenomeno dei gettonisti, operatori che per scelta o per necessità, non lavorano né alle dipendenze di una struttura sanitaria né svolgono attività puramente libero-professionale. Che cosa comporta questo fenomeno?

“Il fenomeno è in crescita e preoccupantecontinua Cartabellotta – Già nel 2019 si registrava una spesa complessiva di quasi 580 milioni di euro.. Dopo un calo a 124,5 milioni nel 2020, il valore è tornato a salire: nel solo periodo gennaio-agosto 2023 ha toccato i 476,4 milioni, il doppio rispetto all’anno precedente. Il ricorso ai gettonisti sta drenando risorse dal SSN, creando disparità tra il personale stabilmente assunto nelle strutture pubbliche e chi entra con contratti esterni. Questa pratica genera tensioni nei reparti e compromette la continuità assistenziale, con un impatto diretto sulla qualità delle cure. Si tratta di una soluzione emergenziale che non risolve il problema strutturale della carenza di personale, ma al contrario, rischia di aggravare la crisi del sistema pubblico”.

Un caso di malasanità denunciato di recente a Palermo, dove un uomo è morto in attesa del ricovero dopo ben 17 giorni di attesa, è solo la punta dell’iceberg di un’emergenza nazionale: pazienti ‘parcheggiati’ nei Pronto soccorso che scoppiano e i dati che evidenziano che oltre le 12 ore, la possibilità di decesso cresce fino al 4,5%. Come uscire da questo tunnel?

“Questi tragici episodi sono il segnale di un sistema al collasso ha detto Nino Cartabellotta – I pronto soccorso sono diventati il “collo di bottiglia” dove confluiscono tutte le criticità dell’assistenza territoriale. Da un lato, l’eccesso di afflusso di pazienti con patologie non gravi (codici bianchi e verdi) che potrebbero essere tranquillamente gestite nell’ambito dell’assistenza territoriale. Dall’altro le difficoltà di deflusso dei pazienti verso i reparti di degenza, un problema meno discusso ma con conseguenze ben più gravi: infatti, la lunga permanenza in pronto soccorso peggiora lo stato di salute dei pazienti e aumenta la mortalità. La causa principale è l’impossibilità di trasferire questi pazienti nei reparti più idonei a trattare la loro patologia. Reparti già saturi, che non riescono a liberare posti letto occupati da pazienti potenzialmente ‘dimettibili’ dall’ospedale, ma che non trovano sul territorio un’adeguata rete di servizi (come ospedali di comunità, assistenza domiciliare e strutture residenziali sono insufficienti, lasciando scoperti bisogni più assistenziali che medici. Uscire da questo tunnel richiede un piano straordinario per rafforzare la sanità territoriale e decongestionare i pronto soccorso, che oggi sono al limite”.

La congestione dei pronto soccorso

A partire dal 2008 la crescita del numero di operatori si è arrestata. Tra il 2019 e il 2022 il ricorso a contratti a tempo determinato è aumentato del 44,6%. Questo modello lavorativo precario ha portato al burnout il 52% dei medici e il 45% degli infermieri, con le donne particolarmente colpite. Quali sono le proposte di GIMBE per risolvere la situazione?

“Serve un urgente cambio di rotta sulle politiche del personale sanitario – conclude il presidente – È fondamentale rilanciare il capitale umano, valorizzando la colonna portante della sanità pubblica e rendendo nuovamente attrattiva la carriera nel SSN. Questo significa investire su contratti stabili, percorsi di crescita chiari e una riforma dei processi di formazione e valutazione delle competenze professionali. Senza questi interventi, il SSN non sarà in grado di garantire universalmente il diritto alla tutela della salute, rendendo vano qualsiasi tentativo di arginare questa crisi. Restituire dignità e motivazione ai professionisti è l’unica strada per salvare il sistema sanitario pubblico”.

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