Le donne lavorano meno degli uomini. Perché? “Colpa” della famiglia

Nonostante un lieve aumento dell’occupazione femminile nel 2023, il gender gap resta del 18%. Ma come si può migliorare la situazione lavorativa delle donne in Italia?

Le donne lavorano meno degli uomini a causa della famiglia. Nel 2023 l’occupazione femminile è aumentata, ma il gap di genere è sempre molto rilevante, circa il 18%. E’ quanto emerso dall’ultimo Gender policy report dell’Inapp (Istituto Nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) presentato il 16 dicembre 2024.

Si tratta dell’annuale panoramica del mercato del lavoro in ottica di genere, a partire dalle criticità strutturali. In dettaglio, l’occupazione femminile nella fascia d’età tra i 15 e i 64 anni è cresciuta dell’1,4%, passando dal 51,1% al 52,5%. Quella maschile dell’1,2%, crescendo dal 69,2% al 70,4%. La differenza è dovuta, secondo gli autori del report, alla presenza di ostacoli strutturali che influiscono sul mercato del lavoro e gender gap. A livello europeo occupiamo gli ultimi posti con una differenza di 13 punti dalla media continentale, 65,7%.

Nel 2023 l’occupazione femminile è aumentata, ma il gap di genere è sempre molto rilevante, circa il 18%.

Le donne in Italia sono inattive a causa degli impegni familiari. Il 34% di esse non lavora perché impegnato nelle mansioni di cura familiare, mentre gli uomini sono solo il 2,8%. Le percentuali riguardano la fascia d’età tra i 15 e 64 anni, mentre tra i 25-34 si arriva, rispettivamente al 43,7% e 4%. Nei primi sei mesi del 2024 ci sono state solo il 42% di donne assunte su un totale di 4294151. Per il genere femminile resta negativa la stabilità del lavoro. Nel senso che i contratti femminili sono in maggioranza a tempo determinato e part time. Come se quelli a tempo indeterminato fossero allergici al genere femminile. Ad esempio, il 49,2% dei contratti delle donne è part time, mentre per gli uomini solo il 27,3%. Non c’era bisogno della zingara per scoprire l’arcano, come recita un tradizionale motto popolare, la verità è nella natura delle cose. Ossia, non c’era bisogno del pur rigoroso studio dell’Inapp per sapere che il lavoro di cura è quasi sempre sulle spalle delle donne, con un divario con gli uomini che si ripercuote su occupazioni e redditi.

Con la maternità il 16% delle donne lascia il lavoro, mentre gli uomini sono il 2,8%.

Con la maternità il 16% delle donne lascia il lavoro, mentre gli uomini sono il 2,8%. L’80% delle donne richiedono i congedi parentali, i quali poiché sono a parziale copertura retributiva provocano, secondo le stime, un gender pay gap di 5 mila euro annuo. Date le condizioni generali, le donne non possono che orientarsi verso il cosiddetto lavoro povero, con ridotti salari e bassa intensità lavorativa. I numeri non mentono: le donne con paghe basse sono il 18,5% contro il 6,4% dei maschi. L’occupazione dei migranti ha provocato una riduzione del tasso di occupazione femminile rispetto a quelle delle nate in Italia e, di conseguenza, una più alta disoccupazione. Con le stesse condizioni lavorative e qualifiche, le donne straniere pagano una doppia disparità: verso gli uomini e verso le lavoratrici italiane.

L’inattività lavorativa, infine, risulta superiore nelle donne nate in loco e in quelle che emigrano per lavoro. Per quest’ultime è da segnalare la diffusione dei cosiddetti “orfani bianchi”, ossia i figli lasciati nel paese di provenienza. Secondo gli autori del report le donne costituiscono un elemento decisivo per il mercato del lavoro, che è, tuttavia, frenato dalla strutturale assenza di servizi adeguati che possano sostituire/integrare il lavoro di cura, per l’infanzia e le persone anziane non autosufficienti. Questo contesto determina una riduzione della qualità del lavoro, per cui molti rinunciano a cercarlo. A quando una seria politica sociale che possa offrire i servizi sociali di cui le donne hanno bisogno?

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