Lo dice un’analisi della Confcommercio che sconfessa in parte l’exploit del commercio digitale e racconta la trasformazione negli acquisti.
Roma – I consumatori sembrerebbero più attenti alla sostenibilità. Sarà vero? Quelli italiani, pare si siano mostrati molto attenti alla sostenibilità. Con questa locuzione, entrata prepotentemente nel linguaggio comune, a volte senza conoscerne la “ratio”, si intende un sistema in grado di lasciare il giusto tempo all’ambiente di rigenerarsi, nel momento in cui le sue risorse vengono sfruttate, o nel caso in cui debba assorbire le emissioni inquinanti prodotte dall’uomo, nella misura adatta alla propria capacità di carico.
Secondo uno studio di FederModa, la più importante organizzazione di rappresentanza del mondo della moda in generale, i consumatori tendono a spendere meno, ma meglio e sono più orientati alla sostenibilità. Quindi, c’è stata una trasformazione nell’approccio all’acquisto? Dalla ricerca pare che il consumismo senza freni abbia lasciato il posto ad una scelta consapevole, ragionata, sostenibile e legata al territorio. In questa nuova dimensione stanno rinascendo una miriade di negozi locali più aderenti alla qualità e prossimità, sconfessando, in parte, l’exploit del commercio digitale. Gli italiani stanno, quindi, cambiando metodo. Si è assistito negli ultimi anni ad un netto capovolgimento della realtà, passando da un utilizzo, quasi compulsivo del digitale, per poi trovarsi con un’inflazione che ha eroso il potere d’acquisto ed, infine, ad una scelta più meditata.
Questa peculiarità si è manifestata negli ultimi saldi estivi. Non si tratta solo di preferenze di acquisto, ma anche del luogo, nel senso che la tendenza si orientata verso in negozi che sembravano sull’orlo della chiusura, che hanno ricevuto, così, una nuova linfa vitale per le loro sorti. Si è mostrata maggiore cura verso la qualità dei materiali e prodotti rispettosi dell’ambiente e a chilometro zero. Secondo gli autori dello studio la rivalorizzazione del negozio di prossimità riguarda non solo l’aspetto economico, ma anche la relazione culturale e sociale. Questo cambiamento è stato confermato da un’analisi della Confcommercio, la più grande associazione di tutela delle imprese italiane, secondo cui ben l’88% degli intervistati hanno considerato prioritaria, anche rispetto agli spazi e servizi pubblici, la presenza di negozi nei quartieri, che sono considerati fondamentali per la coesione della comunità. Ed, inoltre, fanno crescere la percezione della sicurezza e il valore delle immobili. Nell’ultimo decennio, soprattutto nelle città del Nord Italia, in periferia, si è registrata la chiusura del 25% dei negozi. Questo fatto, secondo i cittadini, ha accelerato il degrado urbano, diminuita la qualità della vita e il 20% degli abitanti ha pensato di cambiare quartiere, in caso di peggioramento.
Queste ricerche sostengono, dunque, la rivalsa della genuinità e sostenibilità rispetto ad un consumismo fine a sé stesso. I consumatori italiani sembrano inclini all’acquisto di prodotti non solo accattivanti dal punto di vista estetico, ma anche rispettosi dell’ambiente e delle comunità di provenienza. In controtendenza rispetto al passato, quando i “saldi” erano occasioni di spese folli, senza senso, ma solo per il gusto di “possedere la merce”. Tuttavia, meglio “prendere con le pinze” studi di questo tipo, legittimi per carità, ma comunque di parte. Nel senso che avere informazioni di questo tipo possa servire alle imprese per migliorare il “Corporate social responsability” (CSR). Ovvero i comportamenti adottati da esse per influire in modo positivo sull’ambiente e sul contesto sociale in cui opera. In pratica. Una questione di immagine e reputazione. Il resto conta ben poco: è tutto sacrificato sull’altare del profitto!