Dalle catastrofi si può uscire malconci ma è possibile superarle. Cosi sarà anche per quella che stiamo vivendo da oltre un anno. Purché gli italiano facciano squadra e non abbassino la guardia. Il Covid è peggio degli aguzzini di un tempo ed è ancora fra di noi.
Roma – Quanta commozione si leggeva sul volto di chi aveva vissuto l’ultima guerra. Ma anche i periodi precedenti e quelli dopo la liberazione. Poi il ricordo e le commemorazioni, anno dopo anno.
Gente nelle piazze, la bandiera italiana che sventola nel cielo dove la pattuglia acrobatica ne ripeteva i colori, le sfilate, le manifestazioni. I discorsi delle istituzioni, i ricordi degli anziani, almeno di chi c’era.
Pagine di storia che s’intrecciavano con quelle personali, familiari. Il 25 aprile, per l’Italia, dal 1945 è una giornata simbolo da festeggiare, da onorare e celebrare.
Soprattutto da comprendere specie dalle nuove generazioni che poco o nulla sanno, non me ne vogliano gli insegnanti, di quel periodo cosi oscuro e nefasto del nostro Bel Paese risorto come d’incanto dalle rovine di un conflitto che ha provocato milioni di morti. Come questa maledetta pandemia.
Quel giorno di 76 anni fa l’Italia si liberava dall’oppressione nazifascista, che ci aveva fatto sprofondare nel baratro della lotta fratricida, nell’intolleranza e nella violenza gratuita. Quella mattina del 25 aprile 1945, però, grazie al coraggio di migliaia di uomini e donne, il nostro Paese ha potuto rialzare la testa, lasciandosi alle spalle le tragedie di un regime che anni prima in molti avevano voluto.
Non si può parlare di 25 aprile senza evidenziare il ruolo estremamente importante e decisivo del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI). È solo grazie a quell’organizzazione politico-militare, costituita nel febbraio 1944 a Milano, che l’Italia ha potuto opporsi decisamente e militarmente al fascismo e all’invasione tedesca riconquistando la tanto agognata libertà.
Il CLNAI, di cui faceva parte anche Sandro Pertini, poi Presidente della Repubblica negli anni 1978-1985, ebbe a deliberare il famoso ordine di insurrezione generale nei territori ancora tenuti sotto scacco dai militari di Hitler e da quelli della Repubblica Sociale Italiana.
Così i maggiori capoluoghi del nord, soprattutto Milano e Torino, risposero all’appello con fermezza e solo grazie al coraggio, al valore ed al sacrificio di migliaia di partigiani l‘Italia riacquistava la propria sovranità.
Solo qualche giorno prima, il 19 aprile, la medesima organizzazione aveva diffuso sui quotidiani un messaggio che aveva tutto il sapore dell’estremo tentativo di farla finita con SS e camicie nere: “Arrendersi o perire”.
Tutto chiaro: non si sarebbero prese in considerazione terze ipotesi. La sera stessa del 25 aprile, Benito Mussolini, considerando la gravità della situazione, decideva di allontanarsi da Milano.
L’ultima fuga durava solo qualche giorno. Il fondatore del Fascismo, a bordo di un blindato e in uniforme tedesca, veniva identificato e catturato dai partigiani della 52esima Brigata Garibaldi, al comando di Pier Bellini delle Stelle, all’uscita di Musso, sul lago di Como.
Il giorno seguente, il 28 aprile, assieme a Claretta Petacci veniva fucilato a Giulino di Mezzegra mentre altri gerarchi fascisti subivano la stessa sorte a Dongo.
Gli americani entrarono a Milano il giorno seguente e il 1° maggio fecero il loro ingresso a Torino. L’Italia settentrionale era stata liberata. Bologna tornava libera il 21 aprile, Genova il 23 e Venezia il 28. La Liberazione si era compiuta.
Poco meno di un anno dopo, il 22 aprile del 1946, il governo italiano guidato da Alcide De Gasperi stabiliva la commemorazione del 25 aprile come “festa nazionale”. Un provvedimento di legge rivolto soprattutto alle generazioni future, per non dimenticare. Dopo una catastrofe, con l’aiuto di tutti, può esserci un futuro. Forse anche più radioso.
Teniamolo a mente per gli anni a venire, quando usciremo fuori dalla pandemia. Ce la faremo certamente, e non sarebbe la prima volta. Con coraggio, responsabilità e buon senso. Come 76 anni fa.