Secondo “Tax Justice Network” se lo 0,5% della popolazione pagasse le imposte, se ne ricaverebbero oltre 2 mila miliardi di euro.
Roma – I super ricchi potrebbero salvare il mondo! Ci si stenta a credere, perché quando si parla di gente danarosa, impegnata nella solidarietà, aleggia sempre un odore stantìo, in quanto non fa mai niente senza un tornaconto. Comunque, pare che se lo 0,5% della popolazione pagasse le tasse, se ne ricaverebbero oltre 2 mila miliardi, pari, per ogni Paese, al 7% del proprio bilancio di spesa.
Secondo il “Tax Justice Network” (Rete di giustizia fiscale) – un gruppo di pressione strutturato in una coalizione di ricercatori e attivisti che combattono gli effetti nocivi dell’evasione fiscale – questa cifra equivale al doppio di quella che serve, annualmente, a finanziare i Paesi poveri per il clima. Se si pensa che ¼ della ricchezza attuale appartiene allo 0,5% della popolazione del pianeta, mentre la maggioranza arranca con affanno, si comprende come il tema sia fondamentale. Lo squilibrio c’è ed è palese. Inoltre, trasforma le economie in vascelli traballanti e poco produttivi.
C’è chi ha messo in pratica questo proposito, ad esempio la Spagna con una tassa patrimoniale definita “leggera come una piuma”. Il governo del primo ministro socialista Pedro Sanchez l’ha approvata alla fine del 2022 come tassa limitata nel tempo e di solidarietà, e riguarda i cittadini in possesso di una ricchezza maggiore ai 3 milioni di euro. Questa cifra è equivalente, all’incirca, allo 0,5% delle famiglie, la stessa percentuale prevista da Tax Justice Network.
L’analisi del gruppo di pressione ritiene insensato escludere dalla ricchezza acquisita le azioni di società quotate in borsa, beni consistenti come barche ed aerei, la proprietà industriale ed intellettuale. Ma quella che appare irragionevole è il diverso trattamento della ricchezza raccolta e quella guadagnata. Come sottolineato sul sito del network: “La ricchezza raccolta attraverso i dividendi, le plusvalenze e gli affitti derivanti dal possesso di beni è tipicamente tassata con aliquote molto più basse rispetto alla ricchezza guadagnata con stipendi ottenuti lavorando. Allo stesso tempo, la ricchezza raccolta cresce in genere più velocemente di quella guadagnata”.
Secondo questa tesi, solo metà della ricchezza prodotta annualmente nel mondo ritorna ai cittadini che vivono di lavoro. Il resto è formato da affitti, dividendi, interessi e profitti in conto capitale. I numeri stanno assumendo dimensioni stratosferiche di pari passo alle disuguaglianze economiche, per cui alcuni Paesi hanno pensato di introdurre tasse per i super ricchi. Dal 22 al 26 luglio 2024, durante il G20 tenutosi a Rio de Janeiro in Brasile, le più importanti economie mondiali si sono impegnate per introdurre una tassa minima globale sui 3 mila miliardari del mondo. Oltre al Brasile, promotore dell’iniziativa, si sono allineati Francia, Germania, Sudafrica e Spagna. La proposta appare a molti come un’ottima occasione per ridurre le disuguaglianze economiche diventate, ormai, endemiche.
Ma c’è una minoranza di Paesi ricchi che appare scettica. Non si tratta di un “no” perentorio, ma di un esitare subdolo, sotterraneo che, con molta probabilità, produrrà il protrarsi del tempo per stabilire una convenzione quadro della fiscalità generale. È ora che chi guadagna di più paghi più tasse. Sembra un concetto elementare, ma ha sempre trovato molti ostacoli, forse perché i ricchi sono attaccati al denaro come l’edera lo è ai muri, chissà!
Sta di fatto che un prelievo sulla ricchezza prodotta è necessario per ridistribuirla alla collettività e per ridurre le disuguaglianze. È una questione di civiltà prima che di democrazia!