Al Settentrione ci sono più strutture. Le aree più svantaggiate sono quelle interne e le periferie già vittima delle carenze di servizi.
Roma – Il divario Nord-Sud del Paese anche nella diffusione delle biblioteche. La Treccani, la più famosa enciclopedia in lingua italiana e considerata la massima impresa editoriale italiana in ambito culturale, nonché una delle più importanti enciclopedie del XX secolo, alla voce “biblioteca” così recita: “Raccolta libraria, ordinata e custodita, con opportuni cataloghi, a determinati scopi di cultura; distinta perciò dal deposito, dall’emporio, dalla bottega di libri, con o senza ordine riuniti ad altro fine”. Ora questa raccolta libraria, intesa anche come luogo fisico in molti paesi meridionali sono scomparse. Nemmeno la trasmissione “Chi l’ha visto” ne ha scorto traccia, sono state cancellate con un colpo di spugna! Al Nord si legge il doppio che al Sud e la loro assenza, in quanto organizzazioni associative non fa che produrre ulteriore esclusione sociale.
Esiste, dunque, ”una questione meridionale” anche per le biblioteche. Non poteva che essere così, visto il divario esistente in tutti i settori della vita sociale ed economica. Molte biblioteche sono state chiuse a causa della riforma del 2014 che ne ha ridisegnato il sistema, affidando le competenze alle province. Malgrado con l’avvento della tecnologia bisogna viaggiare ad alta velocità, quando si tratta dell’apparato burocratico dell’amministrazione statale, i tempi sono come quelli della lumaca. Infatti, il passaggio da un ente pubblico ad un altro è stato di una lentezza esasperante, tanto che molte strutture sono state costrette a chiudere. Il collettivo inglese “Care Collective” è un gruppo di studio orientato a comprendere e affrontare le diverse forme di crisi del concetto di cura e risponde a questa esigenza individuando quattro cardini fondamentali per dare vita a comunità di cura: il mutuo soccorso, lo spazio pubblico, la condivisione di risorse e la democrazia di prossimità.
Ebbene, nel “Manifesto della Cura”, hanno definito le biblioteche “luoghi di ritrovo e apprendimento”, svolgendo un considerevole ruolo sociale, soprattutto per chi proviene da ambienti di isolamento sociale. Secondo l’ISTAT (Istituto Nazionale di Statistica), un terzo dei Comuni è sprovvisto di biblioteche. Le aree più svantaggiate sono quelle interne e le periferie che già sono vittime delle carenze di servizi basilari. La biblioteca potrebbe permettere l’accesso gratuito ai servizi che influenzano la crescita delle persone, soprattutto di coloro che, per questioni economiche, non possono usufruire di servizi formativi a pagamento. Ma oltre ad essere luogo di trasmissione del sapere, la biblioteca riveste un rilevante ruolo di utilità sociale nel momento in cui si trasforma in polo di incontro e di scambio. Le biblioteche dovrebbero aprirsi al territorio, alla comunità, dove i ragazzi potranno socializzare e le donne potrebbero cogliere l’occasione di incontrare altre donne. Questo è particolarmente importante nelle periferie urbane e nei piccoli paesi.
Inoltre, potrebbe trasformarsi in un luogo di incontro per le persone anziane, in cui ci si potrebbe incontrare con altri, scambiarsi esperienze o ascoltare qualcuno che legge a voce alta. Un modo per contrastare la solitudine che è diventata sempre più pervasiva. Purtroppo queste esigenze sono poco percepite dalle istituzioni, che danno contributi, quando vengono elargiti, con molta parsimonia e alle calende greche. Se ci si fa un giro per le nostre città, grandi, medie o piccole è tutto un frastuono di trivelle, di cantieri all’aria aperta che causano un ulteriore consumo di suolo, di cui non si avvertiva la necessità. Inoltre, esso influisce sulla circolazione dell’aria e sulla formazione di fenomeni meteorologici. La creazione di nuove superfici impermeabili riduce la capacità del terreno di assorbire l’acqua piovana, aumentando il rischio di alluvioni e erosione del suolo. Tutto questo sconquasso per aprire nuovi supermercati. Le biblioteche? Possono pure sparire!