Oltre agli investimenti in beni strumentali, la misura è orientata anche alla formazione dei lavoratori: al centro le competenze.
Roma – Finalmente il Piano Transizione 5.0 è stato approvato! L’attesa è stata spasmodica, ma, finalmente, il fatidico giorno è arrivato: agli inizi del mese di luglio è stato approvato il decreto attuativo del piano “Transizione 5.0” ovvero gli incentivi per la digitalizzazione e la sostenibilità delle imprese italiane. Si tratta di norme che disciplinano le regole utili per accedere ai crediti di imposta, finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) per un valore pari a 6,3 miliardi di euro. Un bel gruzzolo non c’è che dire. Pare che si siano già allertate le combriccole varie che puntualmente si adoperano ogni volta che c’è denaro pubblico da spartire. Gli ultimi casi di corruzione nelle regioni Liguria e Puglia confermano questa considerazione.
E’ qualcosa a cui non sanno resistere: sentono l’odore dei soldi, come le iene fameliche quando avvertono quello delle carogne. In dettaglio, per essere ammessi, i progetti di innovazione dovranno essere ultimati entro il 31 dicembre 2025 e dovranno riguardare l’acquisto di beni strumentali materiali e immateriali semplici (ex superammortamento), l’acquisto di beni strumentali materiali e immateriali 4.0 (ex iperammortamento), attività di ricerca, sviluppo, innovazione e design, formazione 4.0. La conditio sine qua non di tali investimenti dovrà essere l’innovazione, per ridurre i consumi energetici della struttura produttiva almeno del 3% o dei processi da essi interessati perlomeno del 5%. Un discorso a parte meritano le aziende energivore, cioè quelle con alti consumi di energia che incidono molto sul fatturato. Nel nostro Paese se ne stimano oltre 3mila e fanno parte di settori tra i più disparati, dall’industria cartaria alle acciaierie, dalle industrie meccaniche a quelle alimentari.
Ogni anno, i loro nomi vengono pubblicati in elenchi di volta in volta aggiornati sul portale della CSEA (Cassa Servizi Energetici e Ambientali). Poiché siamo la patria del “diritto” ma allo stesso tempo anche del… “rovescio”, il decreto attuativo ha inserito una serie di deroghe ai vincoli dell’Unione Europea (UE). Queste eccezioni, più prosaicamente favoritismi, valgono per le imprese legate ai combustibili fossili, quelle che causano emissioni di gas a effetto serra, quelle che lavorano con discariche di rifiuti e gli inceneritori ed, infine, quelle che causano sostanze inquinanti e rifiuti speciali pericolosi. E nient’altro, verrebbe da dire? Meno male che si parla di Transizione, altrimenti chissà cosa sarebbe stato escogitato. Come trasformare la deroga in norma! Particolare attenzione è stata mostrata alle imprese che gestiscono impianti in concessione. In questo caso gli investimenti devono rispondere all’attuazione dei vincoli che si hanno nei riguardi dell’ente pubblico concedente. La legge prevede meccanismi economici che riducono a zero il rischio economico sopportato per investire in beni strumentali nuovi.
Altre risorse economiche saranno devolute per l’attività di formazione, per un valore massimo di 300mila euro. Ora se la lingua italiana ha ancora valore, la transizione energetica è il passaggio dallo stato corrente di fonti di produzione energetica, basate principalmente sull’uso di fonti non rinnovabili come petrolio, gas e carbone, a un più efficiente e meno inquinante mix di energie rinnovabili. Invece per il legislatore italiano la locuzione viene intesa in maniera molto blanda, tanto che le deroghe e le agevolazioni alle imprese che si avvalgono di energia fossile, sono numerose. Una “Transizione” all’italiana, per così dire!