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La finanza insiste sulle fonti fossili, così la transizione ecologica è un miraggio

La totale incongruenza della politica, succube degli interessi dei grandi gruppi economici, a discapito della gestione della ‘res publica’.

Roma – E’ proprio vero che i motti popolari possono essere anche banali, ma spesso colgono nel segno. E’ il caso dell’arcinoto “Senza soldi non si cantono messe”, secondo il quale senza il vil denaro, lo sterco del demonio per la religione, finanche quest’ultima si sottrae al suo compito, cantare una messa appunto. A testimoniare il suo potere seduttivo sulle sorti dell’umanità, ma anche che i poveri contano meno di zero. Questo assunto si dimostra probante nella tanto decantata transizione ecologica.

Le banche e i fondi, poiché la loro natura è “fare affari”, hanno investito, finora, ingenti risorse finanziarie nelle fonti fossili e stanno continuando a farlo per accrescere la loro ricchezza. Ed è qui che manifesta la sua totale incongruenza la politica, succube degli interessi dei grandi gruppi economici, a discapito della gestione della “res publica”. Se alla grande finanza non verrà vietato di investire nelle “fonti fossili”, la transizione resterà una parola priva di significato.

Le “fonti fossili” sono state l’argomento principale anche dell’ultima Cop28, la Conferenza dell’ONU sui cambiamenti climatici, tenutasi dal 30 novembre al 13 dicembre 2023. Gas, petrolio e carbone, possono dormire sonni tranquilli: nessun accordo è stato raggiunto per bloccarne l’uso. Il fatto stesso che è stata scelta come sede un Paese che è uno dei massimi produttori di petrolio è una circostanza che stride non poco con lo scopo prefissosi. E’ stato come nominare Dracula direttore dell’AVIS (Associazione Volontari Italiani Sangue)! Però, rispetto al passato si è ottenuto il consenso di tutti i Paesi, compresi i produttori di gas e petrolio a –come scritto nella risoluzione finale- “una riduzione delle emissioni in linea con il contenimento delle temperature entro 1,5 gradi, in modo da arrivare allo zero netto nel 2050, come richiesto dalla Scienza”.

La sostenibilità ambientale e le sfide post-accordo di Parigi

Ma non era l’obiettivo dell’accordo di Parigi del 2015 che diceva le stesse cose? E da allora cosa è stato fatto? Praticamente nulla stando alle dichiarazioni diffuse alla stampa. Nel testo non ci sono indicazioni, né termini fissati per porre fine alla dipendenza delle “fonti fossili”. Come summenzionato, fino a quando fiumi di denaro continueranno ad affluire nelle casse delle multinazionali di energia, da banche e fondi d’investimento, per sostenere programmi di esplorazione, estrazione e per incentivare l’acquisto di beni inquinanti, così come idee di progetti che cozzano contro la sostenibilità ambientale, allora anche l’accordo di Dubai si trasformerà in carta straccia o in aria fritta, come, d’altronde, sempre successo, finora.

E l’obiettivo dell’anno 2050 sarà un miraggio, perché si rischia di non arrivarci per esaurimento della materia prima, la vita. Come è stato fatto notare da Action Aid, un’organizzazione internazionale indipendente impegnata nella lotta alle cause della povertà: “Come sempre, l’Europa, a parole si è fortemente impegnata a sostenere l’uscita dalle fonti fossili, ma il giorno dopo la chiusura della conferenza di Dubai si è altrettanto impegnata a lasciare mano libera a banche e fondi finanziari nella scelta dei propri investimenti”. E, poiché, pare che nell’Eurozona le prime undici banche hanno derivati fossili per 530 miliardi di euro, ovvero il 95 per cento della capitalizzazione delle stesse banche, tanto da rischiare il default se ci fosse uno stop alle energie fossili. Non c’è più speranza, quindi, per noi comuni mortali? Probabilmente no, anche se essa è l’ultima a morire, moriremo, comunque, prima noi!

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