Il sistema telematico avrebbe dovuto snellire le procedure e sburocratizzare un comparto da sempre sinonimo di faldoni e scartoffie. Invece, sin dalla sua introduzione, ha sempre funzionato male e rallentato gli iter processuali con grande nocumento per la collettività e gli stessi operatori.
Roma – Il diritto alla difesa compromesso da una sorta di cancelleria virtuale. Si potrebbe definire come un gioco al “lotto” senza vincitori. Certo ogni cambiamento è difficile, ma non si può vivere e lavorare sempre in contesti complessi e di precarietà.
Qualunque settore della vita pubblica deve essere gestito con competenza, per agevolare i servizi e non per ostacolarli o renderli inservibili dunque inutili. Quando l’innovazione tecnologica è caratterizzata da troppa confusione e lentezze di ogni tipo è un danno per tutti, altro che rivoluzione digitale. La situazione attuale è espressione di una burocratizzazione informatica delle più artificiose e prepotentemente inefficaci.
Così l’avvocatura protesta contro i disservizi della giustizia telematica, affinché venga migliorata. Dall’Unione camere penali, che ha indetto una astensione per la fine di marzo, all‘Associazione italiana giovani avvocati (Aiga), che ha presentato una serie di interrogazioni sull’argomento, passando per l’Associazione nazionale forense ed il Movimento forense, sono numerosi gli organismi di rappresentanza dell’avvocatura che protestano per i continui ritardi e le difficoltà che incontra la categoria, soprattutto nell’interfacciarsi con la giustizia digitale e i suoi strumenti.
Proteste che sono arrivate sul tavolo del ministro della Giustizia Marta Cartabia. Il coro è unanime: fare in fretta e bene. Così non si può più andare avanti e, peraltro, si stanno creando forti incomprensioni tra i diversi ambiti della giustizia, che determinano incomunicabilità, di per sé già degenerativa, che penalizza tutti ma in particolare i professionisti.
A volte si ha la sgradevole sensazione di inabissarsi nei meandri più bui ed arcaici delle pastoie burocratiche. Attenzione, però, perché il problema non riguarda solo la piattaforma per il settore penale ma è tutta la giustizia telematica che fa acqua da tutte le parti e non funziona da mesi.
Nel Recovery Plan sono stati previsti interventi per digitalizzare la giustizia ma non si possono attendere i tempi biblici e incerti dei fondi europei per migliorare i servizi. Così facendo complica irrimediabilmente la situazione e considerato che non si può “sospendere la giustizia” ed ogni attività ad essa correlata, si deve intervenire subito.
E’ scattato l’allarme rosso, inutile nascondersi dietro a un dito. Non è concepibile che gli avvocati debbano passare interi pomeriggi ad aspettare una Pec che attesti l’avvenuto perfezionamento di un deposito di atti giudiziari.
Spesso, peraltro, è capitato che questi disservizi abbiano provocato il rinvio delle udienze, a volte anche di mesi. I cittadini devono sapere come stanno le cose e di chi è la responsabilità, se molto spesso vengono disattese le imprescindibili esigenze di certezza e celerità del diritto. È necessario dunque un intervento immediato, che vada a rafforzare la componente hardware della giustizia italiana in modo da rendere più rapido il portale, evitando che si blocchi ogni giorno.
L’introduzione del processo penale telematico ha infatti rallentato e di molto la macchina amministrativa, aumentando la mole di documenti e di atti da trattare. La situazione è veramente al limite della sopportazione. La preoccupazione è almeno pari alla consapevolezza dell’importanza della giustizia telematica, in quanto il processo informatico è una conquista. Non si può e non si deve tornare indietro.
Le difficoltà che oggi si incontrano per il processo penale, ieri erano le medesime per il processo civile e che ancora permangono. All’inizio, come per ogni novità, è fisiologico un certo disagio, anche se l’attuale contesto pandemico generale non aiuta assolutamente. Tutto è diventato foriero di problemi.
Occorre uno sforzo eccezionale per uscire dall’impasse ed eliminare le criticità funzionali del portale per poi procedere con la telematizzazione degli uffici dei giudici di Pace e della Corte di Cassazione, estendendo l’obbligatorietà anche a tutti i provvedimenti dei magistrati.
La celerità negli interventi è uno dei punti nodali che anche il Movimento forense ritiene una irrinunciabile priorità, a cominciare dagli investimenti necessari nella digitalizzazione, senza alcuna conflittualità e chiedendo a tutte le forze in campo di impegnarsi senza campanilismi e distorsioni nei vari ambiti di competenza.
In caso contrario, o in previsione di tempi lunghi, meglio ripristinare le modalità tradizionali di deposito degli atti in via alternativa rispetto a quello telematico. L’auspicio è che il ministro Cartabia sappia infondere i giusti impulsi necessari per garantire la migliore efficienza ed imparzialità nella gestione delle risorse.
In quest’ottica deve inquadrarsi la logica dell’astensione e non essere letta come strada preferita, bensì come ultima ed estrema ratio. L’astensione deve essere interpretata come un disperato tentativo di evidenziare l’indignazione di tutti davanti alla disfunzione “cronica” del sistema operativo causa di disservizi, lungaggini ed enormi perdite di tempo.
Nell’interesse della Giustizia, dei cittadini e di tutti gli operatori del comparto giudiziario.
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