CUNEO – SEMBRAVA NORMALE COMPOST MA ERANO RIFIUTI SPECIALI ZEPPI DI VELENI.

La Legge sullo spargimento dei fanghi per l'agricoltura fa acqua (e veleni) da tutte le parti oltre a facilitare il lucro di certi personaggi con le mani in pasta nei rifiuti speciali.

CuneoAltro che terra dei Fuochi: orripilante la scoperta di un traffico illecito di rifiuti che finivano nei campi destinati all’agricoltura e, in seguito, sulle nostre tavole sotto forma di ortaggi.

Sarebbero almeno 40 gli ettari dei terreni tra le province di Cuneo e Asti nei quali venivano sparse schifezze spacciate per compost, contenenti mercurio, idrocarburi pesanti e materie plastiche, il tutto a livelli di parecchio superiori a quanto consentito. Un po’ come si fa per certi altri “fanghi” rivenduti come tali e poi sparsi sui terreni coltivati a riso e contenenti i veleni più letali.

L’indagine dei forestali di Cuneo, coordinata dal Pm Paolo Cappelli (Direzione distrettuale antimafia di Torino), diretti da Stefano Gerbaldo, ha fatto scattare tre arresti domiciliari e altrettanti obblighi di firma, per un totale di 11 misure cautelari.

È l’impianto Olmo Bruno di Magliano Alfieri, di proprietà Egea, ad essere nel mirino degli inquirenti.

L’impianto di Magliano Alfieri e il falso compost

“Non chiamiamolo più centro di compostaggio”, sono le parole di alcuni degli indagati, “chiamiamola discarica e bon. È diventato uno schifo”.

“…Senti, qua c’è un mucchio di plastica, un mucchio di nylon…” – sono le parole che si sentono nelle intercettazioni telefoniche – ho dovuto mettere due persone con un trattorino, un rimorchio a raccogliere tutta quella roba. Questa roba dovrebbe essere vagliata, io non riesco a capire, vedessi che roba in un pomeriggio hanno raccolto un rimorchio di sacchi di plastica, sacchi neri, dell’immondizia. Mi avete caricato tutto il giorno della roba che fa veramente schifo, voglio che vieni giù a vedere: io te la porto indietro a meno che non mi paghi un negretto per un giorno o due per raccoglierla. Altro che roba vagliata, c’è solo della legna e dei sacchi neri…”.

Normalmente occorre un tempo di 90 giorni per il corretto trattamento dei fanghi destinati ad essere convertiti in materiale compostabile, in modo da eliminare il loro potenziale di inquinamento e la carica microbica. In genere si tratta di un procedimento costoso, che comprende la miscelazione del materiale scartato con una quantità di verde ricavato dalle varie potature. Solo al termine di questo complesso procedimento i fanghi possono essere considerati compost.

I fanghi non sono mai stati trattati correttamente, il compost inquinante finiva nei campi

A quanto emerso dalle indagini, nulla di tutto questo è mai avvenuto e il “compost” altro non era che un ricavato dei fanghi trattati in modo assolutamente insufficiente e inadeguato.

Il Gruppo Egea, proprietario della ditta Olmo Bruno dal 2016, ha proposto la propria collaborazione: “confidiamo nell’operato delle autorità nel fare chiarezza e attendiamo di conoscere i contenuti nel dettaglio, in modo da poter fornire tutto il contributo necessario”.

Ammonterebbe a oltre un milione e mezzo di euro l’anno il giro d’affari che si celerebbe dietro questa truffa clamorosa, che danneggia l’ambiente e la nostra salute.

Invece di offrire un lavoro pulito e rivendere il compost correttamente ottenuto agli agricoltori, pare che le ditte proprietarie di impianti di trattamento specifici per le acque reflue, versassero 100 euro a tonnellata affinché la ditta di compostaggio smaltisse i fanghi, incassando quindi la somma senza nulla spendere per il trattamento. In seguito, pagava dai 7 ai 10 euro degli ancora non definiti imprenditori agricoli per eliminare i rifiuti, che finivano sparsi sui loro stessi terreni. Un giochetto redditizio che poi è stata sgamato.

I campi sono stati sequestrati per impedire nuove coltivazioni a base di compost inquinato 

Anche questi cosiddetti agricoltori sono finiti nell’inchiesta, con l’accusa di traffico illecito di rifiuti, mentre i terreni sono attualmente sotto sequestro, così da impedire nuove coltivazioni contenenti scarti pericolosissimi.

Anche due laboratori sarebbero coinvolti nel traffico: si sospetta che lavorassero al soldo dell’azienda, falsificando i risultati delle analisi sul materiale e facendo risultare il tutto perfettamente in regola.

“Si tratta di un’attività molto importante per la salute pubblica e per la tutela dei cittadini”, sono le parole del comandante dei carabinieri forestali del Piemonte, Benito Castiglia. Inquietante il pensiero che questa possa essere una delle facce del famoso consumo a chilometro zero.

C’è veramente da scavare nel fango in questo Paese. In tutti i sensi.

 

 

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