La pandemia ha aggravato le condizioni sociali di milioni di bambini già messi a dura prova dalla fame e da altre privazioni e violenze. Anche in Italia la situazione è peggiorata fra l'indifferenza delle istituzioni e la carenza di controlli e verifiche.
Roma – Sembra una realtà ottocentesca quella rappresentata nella sua forma più cruda, quasi da romanzo sociale. Invece è tutto vero: appartiene al nostro quotidiano, nonostante il lavoro minorile sia denunciato come “…qualsiasi attività lavorativa che priva lo studio e la libertà nell’infanzia, con gravi ripercussioni sullo sviluppo psico-fisico del bambini”.
L’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia, ci ricorda che sono 152 milioni i bambini nel mondo coinvolti in attività lavorative. Nelle sue forme peggiori può tramutarsi in schiavitù e sfruttamento sessuale. Di questi ben 72 milioni di minori, svolgono lavori molto pericolosi.
La pandemia ancora in atto ha reso ancora più drammatica la situazione. In molti paesi dell’Africa, dell’Asia e dell’America Latina, un numero crescente di bambini pratica l’accattonaggio e sono arruolati per pochi spiccioli come schiavi nell’economia sommersa.
Secondo l’Europol, l’Agenzia dell’Unione Europea per la lotta al crimine, le richieste di pedopornografia, un altro aspetto mortificante dello sfruttamento minorile, sono aumentate in maniera esponenziale durante il lockdown.
I numeri sono agghiaccianti: 64 dei 152 milioni di minori costretti a lavorare in età scolare sono bambine e 66 milioni risucchiati dalla povertà dopo il blocco delle attività a causa della pandemia.
L’Oil, agenzia specializzata dell’Onu per la promozione della giustizia sociale ed i diritti umani internazionalmente riconosciuti, riferisce nel suo rapporto del maggio scorso che 1,6 miliardi di lavoratori dell’economia sommersa hanno visto azzerato il loro reddito.
Questo aspetto ha incrementato il lavoro minorile. Le mansioni svolte da questo baby esercito industriale di riserva spaziano dall’agricoltura ai lavori domestici, soprattutto per quanto riguarda le bambine. 100 milioni sono inseriti nella catena di fornitura di abbigliamento e calzature a livello globale, con grandi profitti delle multinazionali del ricco ed opulento occidente.
Come cercare di risolvere il problema. L’Unicef propone di collaborare coi governi nazionali e locali per supportare lo sviluppo e realizzare strategie di risposta alla questione del lavoro minorile. Inoltre:
“…Bisogna rendere visibili il numero dei bambini costretti a lavorare, investendo nella raccolta dati; inserire i baby lavoratori nei meccanismi di protezione sociale; approvare norme per lo sviluppo delle comunità; rendere accessibile l’istruzione per rispondere ai bisogni dell’infanzia che lavora…”.
Anche L’Italia partecipa al processo di utilizzo di manodopera minorile, a prezzi irrisori. Nel nostro Paese ci sono oltre 340.000 baby lavoratori, soprattutto in attività familiari.
La didattica a distanza ha accentuato questo aspetto. Molte famiglie, infatti, non possiedono né tablet, né Pc, né connessioni. Purtroppo non esistono, nonostante le forti pressioni della società civile, monitoraggi nazionali.
I dati di cui abbiamo parlato si riferiscono ad una ricerca del 2013 a cura dell’Associazione Bruno Trentin della Cgil e di Save the Children.
L’ONG opera nell’ambito dell’educazione, salute, emergenze, protezione dallo sfruttamento lavorativo, povertà e sicurezza alimentare e tutela dei diritti dell’infanzia. Dalla ricerca è emerso che dei 340.000 minori inseriti nel perfido meccanismo del lavoro, il 7% è straniero.
Nel 2019 l’Ispettorato del lavoro ha scoperto 502 illeciti, di cui 243 per “mancato rispetto della tutela del lavoro dei fanciulli e degli adolescenti”. La propensione al lavoro precoce è, spesso, presente in famiglie a bassa scolarità.
In alcune zone del Meridione d’Italia è in netto aumento il numero di minori arruolati nelle file di mafia e ‘ndrangheta con compiti logistici e di trasporto di piccole quantità di droga, messaggi e controllo del territorio. Povertà educativa e disagiate condizioni socio-economiche sono l’humus su cui non può che svilupparsi il contesto summenzionato.
A quest’aspetto si aggiungono i minori stranieri non accompagnati che fuggono dai centri di accoglienza fagocitati dal nulla. Molti entrano nei meccanismi dell’economia informale, lavorando in nero ed in condizioni di vero e proprio sfruttamento.
La politica, con la crisi di governo in atto e la pandemia in corso, assiste impotente, impegnata com’è a recitare uno spettacolo da operetta.
Ti potrebbe interessare anche —->>