Forse la ragazza 17enne si poteva salvare se, a giudizio del padre biologo, fosse stato predisposto un piano d'emergenza di seguito al trapianto fallito.
Roma – La morte di Elisa Federico, la ragazzina di 17 anni deceduta per un trapianto di midollo fallito, ripropone il grave problema della sicurezza negli ospedali. Lisa, come i genitori amavano chiamare la figlia, sarebbe stata sottoposta a un trattamento sanitario inadeguato e la famiglia sarebbe stata liquidata sbrigativamente da medici incuranti delle obiezioni e delle richieste di chiarimenti.
La ricostruzione della vicenda per mano del padre della ragazza scomparsa, il dottor Maurizio Federico, biologo, responsabile del Centro per la Salute Globale presso l’Istituto Superiore di Sanità di Roma, appare drammatica e mostra tutti i limiti di una struttura pubblica, ritenuta d’eccellenza, che probabilmente avrebbe dovuto operare in maniera diversa:
”…Agli inizi di questo disgraziato 2020 Lisa tornava a casa mostrando sulle braccia un numero insolito di lividi – racconta il genitore – finché una sera si presentava a casa con uno smisurato livido su una coscia come frutto di una caduta da un monopattino elettrico apparentemente non così catastrofica, come suggerito dall’assenza di graffi. L’esame delle piastrine mostrava una chiarissima deficienza nella concentrazione dunque Lisa veniva ricoverata presso il Bambino Gesù di Roma dove le infusioni di gammaglobuline si dimostrarono da subito inefficaci…”.
Dopo alcuni giorni la diagnosi: citopenia refrattaria dell’infanzia-adolescenza. La ragazza veniva trattata con trasfusioni di piastrine e globuli rossi ma per i medici dell’ospedale romano, nonostante l’esistenza di altre terapie, l’unica possibilità di risolvere la patologia era quella del trapianto di midollo:
”…Una volta individuato il donatore si procedeva al trapianto – aggiunge Maurizio Federico – prima del quale i medici infondevano a mia figlia una sacca di cellule ematopoietiche visto che, a detta di una dottoressa, il gruppo sanguigno della donatrice era AB e Lisa, gruppo 0, aveva sviluppato anticorpi anti-A e anti-B. Il 16 ottobre scorso si procedeva all’infusione tramite una sacca di liquido scuro dall’aspetto sinistro…”.
I guai per la povera ragazzina incominciano proprio dall’infusione durante la quale l’emolisi (la distruzione dei globuli rossi) provocava dolori lancinanti e sempre crescenti a Lisa che avrebbe urlato di dolore per oltre 12 ore tanto che si rendeva necessario somministrare morfina e interrompere l’infusione.
A questo punto sarebbero iniziate le complicanze come un versamento pleurico e una terribile infiammazione batterica causata da “Pseudomonas aeruginosa” che, però, non sarebbe stata individuata subito ma solo il 31 ottobre: ”…Mia figlia morirà alle 0.15 del 3 novembre – conclude il padre – senza che mi sia stato concesso vederla…”.
La ragazza era stata trasferita in rianimazione, intubata e con quasi tutti gli organi vitali in sofferenza progressiva. Gli antibiotici somministrati sarebbero stati inefficaci ed il trapianto di midollo, non riuscito, probabilmente si sarebbe potuto evitare. Chiacchiere scientifiche a parte Lisa è morta nel fiore degli anni mentre i responsabili del reparto ospedaliero rispediscono al mittente, assai qualificato, tutte le accuse:
”…I trapianti, di qualsiasi genere, non possono diventare una roulette russa – afferma Margherita Eichberg, soprintendente all’Archeologia e Belle Arti dell’area metropolitana di Roma, mamma di Lisa – mia figlia non era in pericolo di vita. Non aveva la leucemia. Si trovava al Bambino Gesù per un impoverimento midollare, in forma benigna. È arrivata una sacca di veleno. E loro l’hanno infusa, comunque. Le hanno fatto un trapianto pessimo, con un midollo poverissimo di cellule ematopoietiche, senza la preventiva eliminazione dei globuli rossi, creando le condizioni dell’infezione fatale, oltretutto non contrastata con gli antibiotici giusti…”.
I sanitari del reparto replicano alle accuse sostenendo di aver rispettato i protocolli di cura fondati sulle linee guida e la letteratura scientifica internazionale: ”…Invocare i protocolli come un mantra serve a poco – conclude la madre della vittima – ci vorrebbe una riflessione sui rischi di una procedura che non prevede piani B, e semmai su come cambiare metodi e regole… In nome di Lisa dobbiamo mobilitare le coscienze, richiamare gli ospedali a un comportamento etico, responsabile, per garantire a tutti un trattamento dignitoso, fedele al giuramento di Ippocrate…”.
Quanto sta accadendo negli ospedali di questi tempi terribili lascia basiti. Morti nei gabinetti, decessi inspiegabili, famiglie avvisate della dipartita del congiunto dopo giorni, salme restituite ai propri cari con enormi ritardi e cosi via dicendo, fotografano una situazione altrettanto allarmante rispetto a quella, già drammatica, della pandemia.
La grande malata è proprio la sanità pubblica, sguarnita di organico e mezzi, a corto di professionalità ed entusiasmi. Vittima, se vogliamo, di una politica dissennata che continua a mettere toppe laddove dovrebbe ricostruire di sana pianta. Siamo tutti sulla stessa barca ma le scialuppe riusciranno a salvare solo una parte di noi.
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