PAVIA – ANDREOTTI E FANFANI SAPEVANO DELL’ATTENTATO A ENRICO MATTEI AD OPERA DELLA MAFIA

Sullo stile di Capaci la mafia siciliana aveva ricambiato un favore a quella americana ma la verità era che Enrico Mattei si era mosso troppo bene e l'Italia poteva incutere timore anche a Washington.

PaviaSono quasi le sette di sera del 27 Ottobre 1962 quando Mario Ronchi un agricoltore di Bascapè, nel Pavese, pochi minuti in linea d’aria dallo scalo di Linate, sta iniziando a cenare con la famiglia. Improvvisamente sente un’esplosione e precipitandosi all’esterno della sua cascina, alzando lo sguardo, vede un aereo in fiamme precipitare. Almeno è quello che racconta ai primi giornalisti accorsi sul luogo, poi cambierà versione più volte. Il  velivolo precipitato in quel campo è un piccolo bireattore Morane Saulnier, di proprietà dell’ENI, l’ente petrolifero di Stato. I resti (pochi) di carne e ossa sparsi sul terreno, sono del giornalista britannico William Mc Hale, del pilota Irnerio Bertuzzi e di Enrico Mattei il più potente manager italiano del petrolio.

Il velivolo della morte

La morte del presidente dell’ENI, solo a poche ore dal fatto, è colma di incongruenze e domande senza risposta. Cominciando proprio dal testimone oculare, il contadino proprietario del terreno dove sono caduti i resti dell’aereo e delle vittime.

Un testimone, due e più versioni. Sarà il Corriere della Sera a pubblicare un’intervista il giorno successivo alla tragedia. In quell’occasione Ronchi riferisce una delle tante versioni: ”…Mi era parso strano quel tuono, perché anche se pioveva non mi pareva tempo da nubifragio. Così son corso sull’aia e ci sono rimasto, con una paura tremenda. Il cielo era rosso, bruciava come un grande falò e le fiammelle scendevano tutte attorno…“.

I resti dell’aereo di Mattei a Bescapè

Ronchi riferirà anche a giornalisti e inquirenti di aver visto sia i resti del velivolo che brandelli di corpi avvicinandosi alle fiamme: “…Pensavo di poter soccorrere qualcuno, ma mi sbagliavo. I passeggeri erano bruciati, dovevano essere tre o quattro, non si capiva bene. Sono corso subito ad avvertire i carabinieri di Landriano e ho guidato sul posto il brigadiere con i suoi uomini…”. Solo tre giorni dopo, quando l’uomo verrà interrogato formalmente per la Commissione di Inchiesta, sul verbale farà scrivere di non aver visto o sentito nulla. Anzi il contadino dirà che non era in casa ma altrove durante l’esplosione e la successiva caduta del velivolo in fiamme. Perché negare la prima versione dei fatti anche ai cronisti del telegiornale RAI, del Giornale di Pavia, de L’ORA e nel verbale dei carabinieri?

L’ENI avrebbe pagato il silenzio? Nel 1970 un’inchiesta del giornalista Fulvio Bellini rivelava che il giorno dopo la morte di Mattei, alcuni non precisati funzionari della SNAM (società del gruppo Eni) avrebbero prelevato Ronchi accompagnandolo negli uffici di San Donato Milanese, dove sarebbe stato ulteriormente interrogato su ciò che aveva visto o sentito. Da allora la vita del contadino ha una bella svolta: dopo anni di attesa nei paraggi della cascina veniva realizzato l’allacciamento elettrico.

Enrico Mattei

Sempre Snam realizza una strada carrabile per accedere al sacrario dedicato a Mattei che, casualmente, passa accanto alla proprietà del contadino pavese. E visto che ci siamo anche una prebenda di 800mila lire all’anno, per tagliare l’erba a dare una pulita alla statua del compianto presidente. Gruzzoletto interessante se pensiamo che un impiegato di primo livello ne guadagnava al massimo 600mila. Giovanna Ronchi, figlia di Mario, veniva assunta nel ‘69 da una società della galassia Eni, dove lavorerà per sedici anni, pur essendo un’assenteista abituale a causa di un esaurimento nervoso. Cuori d’oro, non c’è che dire.

Tutti sapevano (o sospettavano). Il paradosso è che nessuno crede all’incidente, tranne ovviamente la Commissione d’inchiesta parlamentare che nel 1963 sposa la tesi del guasto o di un malore del pilota. Solo uno dei membri non è convinto, l’ingegner Giorgio Aldinio, titolare della cattedra di impianti aeronautici presso il Politecnico di Milano. Comunque, ufficialmente, sulla vicenda calava il sipario.

I coniugi Ronchi

Oronzo Reale nel 1967 è ministro della Giustizia quando incrocia la nipote di Mattei, Rosangela, in una località di villeggiatura. I due alloggiano nello stesso albergo e una sera Reale vede la donna bere una tisana in una hall deserta. Incuriosito, dopo aver chiesto informazioni al portiere, si avvicinava alla donna esclamando: ”…Ah la nipote di quello che fu fatto fuori…”. La donna raccontava i fatti ai magistrati di Pavia che riaprivano il caso Mattei: “...Mi trovavo presso l’albergo Hermitage di Sasso Tetto, una sera nella hall, verso l’una del mattino, avevo incontrato il ministro Oronzo Reale il quale – riferisce la donna – saputo chi ero, mi confidava che Cefis, Fanfani e Andreotti potessero sapere qualcosa sulla morte di Enrico Mattei e mi aveva consigliato di invitare mio padre a investigare…” .

Eugenio Cefis sostituì Mattei alla presidenza Eni, Giulio Andreotti ricopriva la carica di ministro della Difesa mentre Amintore Fanfani era residente del Consiglio. Lo stesso Fanfani, nel 1986 ad un congresso DC dichiarava la sua verità: “…Forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei  più di venti anni fa è stato il primo gesto terroristico nel nostro Paese, il primo atto della piaga che ci perseguita…”.

Morti e scomparsi, intorno al caso Mattei. Nel Ferragosto del 1969 un altro “incidente” lambisce la vicenda del defunto presidente dell’ENI. Precipita nelle campagne vicino Roma l’aereo De Havilland con a bordo Marino Loretti ed il figlio Irnerio. Pochi mesi prima Loretti aveva scritto una lettera a Italo Mattei, fratello del numero uno degli idrocarburi del Bel Paese, annunciando che era pronto a dire cose importanti sulla tragedia di Bascapè del 1962. Loretti aveva lavorato per diverso tempo all’ENI, era uno dei motoristi che dovevano curare l’aereo sul quale si spostava Mattei. Che strano.

Andreotti e Fanfani

Mercoledì 16 settembre 1970 sono appena passate le 21 quando Mauro De Mauro, giornalista de L’Ora, scompare nel nulla. Sta per rientrare nella sua abitazione di via delle Magnolie a Palermo, quando viene visto da una delle figlie: tre uomini salgono sulla sua Bmw che si allontana. Del giornalista non si avrà mai più alcuna notizia. De Mauro stava collaborando con il regista Francesco Rosi alla stesura della sceneggiatura del film “Il caso Mattei”, protagonista Gian Maria Volontè che uscirà nelle sale nel 1972 con un certo successo.

Si l’aereo di Mattei era stato sabotato. Le dichiarazioni di tre “pentiti” di mafia, tra cui Buscetta, scoperchiano il vaso di Pandora. Il Gip di Pavia, nel 1994, autorizza la riapertura delle indagini. I racconti combaciano sul fatto che, durante una riunione della Cupola, fu affidato alla famiglia mafiosa dei Di Cristina il compito di sabotare l’aereo di Mattei. Un favore a Cosa Nostra americana per agevolare le cosiddette “Sette Sorelle”, cioè le compagnie petrolifere statunitensi.

Tommaso Buscetta

Questa ipotesi è avvalorata dalla perizia medico-legale sui corpi riesumati di Mattei, Mc Hale e Bertuzzi. I periti trovano tracce di Comet 4B, un esplosivo al plastico, probabilmente messo sotto un cuscino, in grado di provocare una piccola deflagrazione, sufficiente a squartare la fusoliera del velivolo. Il 5 novembre 1997 il pubblico ministero pavese Vincenzo Calia giunge a questa conclusione: “…L’aereo a bordo del quale viaggiavano Enrico Mattei, William Mc Hale e Irnerio Bertuzzi, venne dolosamente abbattuto nel cielo di Bascapè la sera del 27 ottobre 1962. Il mezzo utilizzato fu una limitata carica esplosiva, probabilmente innescata dal comando che abbassava il carrello e apriva i portelloni di chiusura dei loro alloggiamenti…”.

Perché Enrico Mattei era considerato un personaggio scomodo? Nel 1957 Mattei era già diventato il grande antagonista della ESSO e della SHELL. Trattava con i dirigenti libici per lo sfruttamento dei giacimenti di petrolio del Sahara. Finanziava generosamente i movimenti di liberazione dell’Algeria che combattevano contro la potenza coloniale francese. Mattei firmava contratti con la Tunisia ed il Marocco.

Mattei con Fanfani

A questi Paesi del terzo mondo Mattei non impone lo sfruttamento delle risorse, come fanno gli americani, ma applica la politica riveduta e corretta del fifty-fifty. In Iran e in Egitto l’ENI si sobbarca tutte le spese per la ricerca petrolifera, una volta individuato il giacimento il Paese produttore diventa socio al 50%. La settimana dopo Mattei avrebbe dovuto recarsi in Algeria per sottoscrivere un accordo per lo sfruttamento del gas metano. L’ex partigiano si muoveva troppo e bene. Non arriverà mai all’appuntamento.

 

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