Spopola la “cybercondria”: il web si sostituisce al medico nella diagnosi e cura

Il fenomeno dell’ipocondria cibernetica è diffuso soprattutto tra chi soffre d’ansia, dice una ricerca dell’Università di Oxford.

Roma – L’ipocondria corre veloce nel cyberspace! L’avvento della tecnologia ha cambiato il contesto in cui avvengono le dinamiche interpersonali e collettive e con esse le definizioni di alcune caratteristiche, che ovviamente si sono adeguate alle novità. Ad esempio, molte persone pensando di avere qualche disturbo di salute, iniziano a consultare compulsivamente il web alla ricerca di risposte ai propri disagi. Ed ecco, quasi come con una bacchetta magica, apparire un elenco interminabile di consigli, spesso inaffidabili. Questo comportamento ha generato un nuovo termine: “cybercondria”, ovvero l’ipocondria cibernetica.

I manuali di medicina definiscono l’ipocondria come “una preoccupazione ingiustificata ed eccessiva nei confronti della propria salute, con la certezza che qualsiasi sintomo sia il segno di una patologia terribile e inguaribile”. Il web ha reso possibile ad ognuno di noi di informarsi su qualsiasi argomento, anche medico ed, in un battibaleno, molti si sentono preparati per affrontare il loro pseudo disturbo. Già nel 2008 la Direzione scientifica di Microsoft in uno studio registrò che “Le informazioni ottenute dalle ricerche online relative all’assistenza sanitaria possono influenzare le decisioni delle persone su quando rivolgersi a un medico per la diagnosi o la terapia, su come trattare una malattia acuta o far fronte a una condizione cronica, così come il loro approccio generale a mantenere la loro salute”.

Il fenomeno non riguarda solo gli ipocondriaci tout court, ma anche coloro che consultano il web prima di andare dal medico, creando ostacoli al suo lavoro. E’ come se Google o altri motori di ricerca siano diventati una sorta di dottori. In tutta questa giostra, alcuni ritengono che ci sia anche un aspetto positivo. Ovvero, un cambiamento nel rapporto medico-paziente, con quest’ultimo che vuole essere protagonista, ma cerca nel primo una guida che possa supportarlo nella diagnosi e cura.

Secondo una ricerca a cura dell’Università di Oxford, Dipartimento di Psichiatria chi soffre d’ansia è più portato a cercare informazioni sanitarie online. E lo fa fino a quando non trova quella … agognata: angosciante ed ansiogena. Più cresce il livello dell’ansia per la propria salute, più si incrementano le ricerche online. E’ come il cane che si morde la coda. Con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale potrebbero sorgere tutta una serie di equivoci. Basti pensare ad un’eventuale diagnosi che si può chiede a ChatGPT o a Gemini, dopo aver fornito i dati dei propri disturbi o presunti tali. Il primo è un software che simula ed elabora le conversazioni umane, mentre il secondo è un gruppo di modelli linguistici di grandi dimensioni sviluppata da Google.

Il problema ha assunto aspetti così seri che, nel marzo scorso, l’ordine dei Medici di Trento, sul proprio sito istituzionale ha pubblicato un articolo in cui sono emersi una serie di problematiche. Innanzitutto, il paziente che si è informato spasmodicamente sul web mira a pilotare il medico verso una diagnosi conforme ai dati in suo possesso. Inoltre, le strategie di marketing sul web sono orientate a drammatizzare qualunque sintomo per offrire le soluzioni ai potenziali pazienti, trattati alla stregua di clienti. Gli utenti corrono il rischio di essere vittime della commercializzazione di un farmaco o di essere ingannati da fake news senza attendibilità scientifica. L’articolo esortava, infine, a diffidare del dott. Google ed affidarsi al proprio medico di fiducia. La tecnologia c’è, non se e può fare a meno e va utilizzata con parsimonia. Tuttavia, come recita un vecchio adagio “fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”

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