La ricostruzione è ancora al di là da venire e la pandemia ha ulteriormente danneggiato le comunità già duramente provate dagli eventi catastrofici di quattro anni fa. La politica promette e le istituzioni seguono a ruota.
Rieti – A quattro anni dal primo dei terremoti che hanno sconvolto il Centro Italia, sia la ricostruzione pubblica che quella privata sono ancora in forte ritardo per non dire al punto di partenza, in certi casi. Nei centri colpiti l‘economia del territorio è quasi scomparsa del tutto e la pandemia ha completato l’opera affossando tutti gli indotti finanziari. Con i centri storici svuotati o ancora chiusi e pericolanti, saracinesche abbassate ed alberghi abbandonati, gran parte dell’alto Lazio, Abruzzi, Marche e delle altre regioni colpite dagli eventi sismici rischiano il collasso totale e la fuga globale degli abitanti. L’economia è crollata in tutte le aree e soltanto in alcune si tenta di ripristinare qualche attività commerciale o del terziario ma con enormi difficoltà. Insufficienti gli incentivi statali e la burocrazia ha soffocato qualsiasi iniziativa imprenditoriale specie quelle poste in essere da giovani del luogo.
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La tragedia immane ha provocato momenti indelebili nella memoria dei sopravvissuti e di tutti noi. Purtroppo, nonostante il tempo trascorso, le passerelle, squallide, dei politicanti romani non sono finite, anche se ormai non fanno più notizia. I riflettori si riaccendono alla bisogna. Quando si deve riparlare di elezioni e referendum. Un vero oltraggio alle vittime e alle loro famiglie. Un governo, qualunque governo, che ignora interi territori e che continua a illudere migliaia di cittadini in enorme disagio non può avere la legittima rappresentanza di un Paese. Ogni afflizione personale o collettiva dovrebbe avere la precedenza su tutto. È indegno, infatti, che uno Stato non riesca ancora liberarsi dalla burocrazia e dalla corruzione che la alimenta. Dal 2016 non è cambiato nulla.
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Nessuna nota stonata, tutto perfettamente in “disordine“. Purtroppo l’indifferenza è trasversale ed è contagiosa. Così si corre il rischio di rivedere i soliti leader di partito che ripetono il solito ritornello stonato. Magari quello degli investimenti per 150 appartamenti nascondendo che all’appello ne mancano altri 4.000 e cosi via dicendo. Nessuno prova vergogna. Certo le priorità si accavallano, i problemi sono enormi, sono necessarie straordinarie risorse economiche però è mai possibile che chi è nel bisogno, chi è ultimo, disperato, senza casa, privato dai propri affetti, del lavoro, delle proprie radici e della dignità, deve rimanere nell’oblio di tale situazione per anni e anni? La categoria degli ignavi, purtroppo, è in costante aumento come quella di chi ancora spera nella ricostruzione del proprio territorio.
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Una recente visita ad Amatrice del presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, è servita, in ordine di tempo, per comprendere come siamo veramente messi. E siamo messi male atteso che oltre il 60% degli edifici d’emergenza messi a disposizione delle famiglie terremotate è inutilizzabile o ha guasti nelle strutture e nei servizi. Ma tutti vogliono inaugurare qualcosa. Basta un gabinetto, una casa prefabbricata per accaparrarsi un paio di applausi e tante, davvero tante pernacchie. Sergio Pirozzi, attuale consigliere regionale ed ex sindaco di Amatrice al momento della prima, forte scossa tellurica, racconta la propria esperienza di primo cittadino:
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“… E’ sempre lo stesso ritornello, infatti chi viene per l’anniversario racconta ai media che va tutto bene – spiega Pirozzi – che partirà la rinascita. Che da domani arriveranno i soldi. Non è così. Il centro giovanile, il campo sportivo, i centri di aggregazione, il palazzetto, ci sono solo grazie ad alcune donazioni, così come la scuola, grazie ai sei milioni di euro pervenuti dalla Germania nel 2017. Ma di cosa stiamo parlando? Non è cambiato nulla. La gente continua a soffrire ed il territorio è ormai un rudere…“
Comunque Amatrice, Accumoli nel Lazio ed Arquata del Tronto nelle Marche, non dimenticano i 299 morti che hanno avuto dal 24 agosto 2016 fino a gennaio 2017, tanto per citare i comuni più noti. Non si possono dimenticare le macerie, ancora presenti in larga parte, che rinnovano la memoria dei cittadini residenti e del mondo intero. L’indignazione è planetaria. Ogni ferita rimasta aperta non appartiene solamente ai residenti ma a tutti noi.
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Ad Amatrice c’è stato anche chi ha raccontato al premier Conte attimi terribili di storia personale, come una donna che ha riferito la tragedia postuma al terremoto: “… Presidente mio marito si è impiccato, l’ho trovato appeso io, in casa… Ci sentiamo amareggiati… Vogliamo concretezze e certezze, siamo stanchi delle promesse. Io ho lasciato la terra e siamo stanchi. Voglio risposte signor presidente...“. Il premier ha ascoltato ed ha promesso. Come sempre: “…Verrò a trovarla a casa sua...”. Una volta andato via Conte con il suo seguito di palafrenieri e scorte i cittadini mugugnano:”…Siamo amareggiati, solo promesse e ancora promesse mentre tutto muore intorno a noi che abbiamo bisogno di tutto…“.
Non manca la preghiera di Papa Francesco, durante l’Angelus, con l’augurio che la ricostruzione sia più celere, affinché “… La gente possa tornare a vivere serenamente in questi bellissimi territori dell’Appennino…“. Grazie Santo Padre, hanno risposto da Amatrice, tanto per citare un paese, ma stavolta non ha funzionato. Noi ci siamo aiutati a vicenda ma Cristo sembra che non c’abbia nemmeno tentato…
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