Sono rimasti fuori dal calderone della riforma la separazione delle carriere e la non obbligatorietà dell'azione penale. Di contro si è chiusa l'era del correntismo e di altre prerogative di esclusivo appannaggio delle toghe. Chi sceglie la politica non potrà fare marcia indietro.
Roma – La soddisfazione e l’entusiasmo sono alle stelle per esservi stato il via libera dal Consiglio dei ministri che dopo tanti anni ha realizzato la riforma dell’ordinamento giudiziario e del Csm. Seppur con qualche defaillance:
“...Sono molto orgoglioso di questa riforma, importante per il buon funzionamento del Csm e voglio chiarire che l’obiettivo è scardinare quanto più possibile il sistema creato con le degenerazioni del correntismo – ha detto il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede in conferenza stampa al termine del Cdm – la riforma è essenziale anche in assenza degli scandali e rappresenta un passo importante per ricostruire la credibilità della magistratura agli occhi dei cittadini...”.
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Buoni proponimenti che devono fare i conti con l’animo dell’essere umano. Così il Csm, l’organo di autogoverno dei magistrati, è ad una svolta. Speriamo sia rivoluzionaria nella sua semplicità. Anche se poteva essere più congrua e affrontare altre spigolose tematiche:
“…L’obiettivo che ci siamo posti è quello di scardinare il sistema che si è venuto a creare – ha aggiunto il Guardasigilli – a causa delle degenerazioni del richiamato correntismo. Così onde evitare il perpetuarsi di una metodologia, ormai consunta ma collaudata e consolidata nel tempo, si è pensato di formare le commissioni con il metodo del sorteggio, concedendo anche più spazio alle donne, in maggioranza in magistratura ma ancora poche nei ruoli al vertice e nello stesso Csm. Viene quindi prevista la parità di genere per arginare l’eccedenza maschile…”.
Così viene istituito il sorteggio come fonte di novità e soprattutto di garanzia, per eliminare quelle logiche spartitorie che, insite nel sistema, ogni corrente utilizzava per assicurarsi il gradimento delle scelte operate fuori dal Csm. Speriamo solo non sia un’operazione di facciata, perché tutto si può cambiare ma se non c’è la volontà e la dignità di farlo non servirà a nessuno. Anzi potrà essere un boomerang dagli effetti sociali dirompenti.
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Il Consiglio Superiore della Magistratura sarà composto, complessivamente da 30 componenti, in particolare da 20 membri togati e 10 laici. Su quest’ultimi è concentrata la novità. Infatti non sarà più possibile eleggere tra i membri laici chi sta ricoprendo o ha ricoperto negli ultimi due anni ruoli di governo nazionale o regionale. Il ministro della Giustizia annuncia anche qualche altro particolare interessante: “…Finalmente si scrive nero su bianco una norma di cui si parla da almeno vent’anni – continua Bonafede – il magistrato eletto in politica non potrà più rientrare in magistratura a vita…“. Previsti anche altri criteri per i magistrati che vogliono candidarsi alle elezioni o che, una volta in lista, non vengano poi eletti. Introdotto inoltre il tetto massimo degli emolumenti e “criteri meritocratici nelle nomine” e su quest’ultime, “per evitare logiche spartitorie, c’è lo stop alle nomine a pacchetto” ha chiosato Bonafede.
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Si punta, così, ad attribuire maggiore attenzione al calendario dei ruoli e posti scoperti. Inoltre dopo aver svolto la funzione di consigliere del Csm, non ci si potrà candidare a incarichi direttivi per quattro anni, ridotti a due per chi ha ricoperto incarichi fuori ruolo. Chi sceglie, pertanto, la politica dovrà dire addio alla toga per sempre non potendo più rientrare in magistratura alla fine del mandato elettivo. Qualunque sia il ruolo svolto: parlamentare europeo, deputato e senatore, consigliere regionale e ministro, compreso il sindaco nei Comuni con più di centomila abitanti. Inoltre si chiarisce che, nell’articolata riforma, il componente assegnato alla commissione disciplinare non potrà far parte di quelle che si occupano di nomine, di valutazioni professionali e di trasferimento d’ufficio per incompatibilità dei magistrati. Per ovvi motivi facilmente intuibili. La legge delega, che sembrava irrealizzabile ma che a a causa degli scandali dei togati ha avuto una determinante accelerazione, è composta da 40 articoli. Tra le novità interessanti anche l’elezione dei togati che avverrà in 19 collegi e due turni di votazione.
Viene previsto anche che il magistrato una volta eletto in politica, perduti cosi i requisiti di terzietà, non potrà più tornare in magistratura. Gli ex giudici saranno inquadrati in un ruolo autonomo del ministero della Giustizia o in altri ministeri. Infine chi si candida e non viene eletto non potrà essere assegnato ad un ufficio che ha competenza sul territorio di una regione compresa nella circoscrizione elettorale. Precedentemente, però, si adottava questo escamotage, candidandosi proprio nella sede non desiderata, per evitare quel trasferimento. L’esatto opposto delle motivazioni che hanno sorretto l’attuale riforma. Sono opportuni pertanto altri contrappesi, per garantire ulteriore trasparenza. Comunque per tre anni il candidato non eletto non potrà fare il Gip, il Pm e ricoprire incarichi direttivi. Così ad un passo dal ferragosto ecco servito il piatto del “buon ricordo”, denominato dallo stesso Alfonso Bonafede, “Spazzacorrenti 2020”. Non si è parlato di separazione delle carriere e del non obbligo di promuovere l’azione penale. Rimane comunque un bel gesto nonostante si potesse fare di più.
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