La sostenibilità è femminile, non solo dal punto di vista del genere grammaticale, ma perché la donna ne costituisce il fulcro senza cui non si può neppure iniziare a definirla. E’ stata propria una donna a coniarne il termine: Gro Harlem Brundtland, nel 1987, quando era presidente della Commissione mondiale dell'Ambiente e Sviluppo dell’Onu.
La locuzione “sostenibilità” è entrata prepotentemente nel linguaggio politico-economico ed in quello dell’opinione pubblica. Non c’è settore, ormai, dello scibile umano in cui non si utilizza questo termine: sostenibilità ambientale, politica, economica e chi ne ha più ne metta! Non potevano mancare alla gara gli utenti finali, nello loro doppia funzione di consumatori e cittadini. Finanche la pubblicità che con gli spot ne fa un uso così pervasivo, tanto da diventarne insostenibile l’ascolto!
Cominciamo col dire che la sostenibilità è femminile, non solo dal punto di vista del genere grammaticale, ma perché la donna ne costituisce il fulcro senza cui non si può neppure iniziare a definirla. E’ stata propria una donna, infatti, a coniare questo termine: Gro Harlem Brundtland, nel 1987, quando era presidente della Commissione mondiale Ambiente e Sviluppo dell’Onu, pubblicò il rapporto “Our Common Future”. Questo documento, che prende il nome di Rapporto Brundtland, rappresenta uno dei capisaldi dello sviluppo sostenibile.
Ma cos’è la sostenibilità? Il rapporto di cui sopra la definisce come “…Lo sviluppo che soddisfa i bisogni delle generazioni presenti, senza compromettere quelle future…”. Ovverosia: “…L’obiettivo di uno sviluppo economico che tenga conto del benessere generale sociale e ambientale.”
Ora perché la sostenibilità è donna? Forse, perché le donne hanno inciso nel loro DNA di mettere al mondo nuove generazioni, prendendosi cura del loro futuro. Infatti, sono spesso promotrici di culture, di politiche e di un approccio socio/economico che tiene conto della difesa della vita e dell’ambiente. Sono dotate, cioè, dalla nascita solo per il fatto di essere madri, di una visione multidimensionale della vita. Basti pensare che molti movimenti per la tutela e la difesa di queste peculiarità sono guidate da donne. E’ il caso di Vandana Shiva, indiana, scienziata laureata in fisica nucleare e leader della rivoluzione verde, che ha ispirato e guidato la mobilitazione di circa 500.000 agricoltori contro la monocoltura biotecnologica sostenuta dalle multinazionali dell’agroalimentare, Monsanto in testa. Shiva in quasi tutti i suoi libri sostiene il ruolo delle donne in difesa della biodiversità, della tutela delle sementi e delle piante, nonché della dignità del cibo. Perché le donne sono custodi della vita e del futuro e ricoprono un ruolo creativo e produttivo e offrono il loro contributo come soggetti attivi in campo politico e sociale. “Occorre valorizzare ogni aspetto della personalità femminile per adoperarlo come un antidoto al circolo vizioso della violenza che trasforma l’umanità umana nella sua inumanità” è uno dei leitmotiv più diffusi e conosciuti di Vandana Shiva.
Come non ricordare Naomi Klein, giornalista, scrittrice e attivista canadese, autrice del famoso e fortunato saggio del 1999 No Logo, premiato col National Business Book Award canadese nel 2000 e col Prix Mèdiations francese nel 2001! Il volume tratta delle strategie aziendali delle multinazionali nei paesi in via di sviluppo, in particolare della Nike. Una critica spietata delle tecniche di gestione del marchio, le sue ripercussioni sulle dinamiche del lavoro e delle ingenti risorse investite in esse, risparmiate grazie alla delocalizzazione della produzione nei paesi del terzo mondo, dove vengono sfruttate manodopera e risorse naturali. Inoltre molto spazio è dedicato alla culture jamming (sabotaggio culturale), una pratica per contestare l’invasività dei messaggi culturali nella costruzione dell’immaginario collettivo.
Il libro è stato considerato il manifesto del movimento no global, quell’insieme di gruppi di varia estrazione politica, accomunati dalla critica al sistema economico neoliberista. Il movimento comparve all’attenzione della cronaca e dei media nel 2000 in occasione della Conferenza Ministeriale dell’Omc, organizzazione mondiale del commercio, a Seattle negli Usa. Il movimento esprimeva, inoltre, una profonda critica alle multinazionali che riducevano e lo fanno ancora i paesi del terzo mondo in condizioni vergognose tramite lo sfruttamento del lavoro minorile, delle risorse naturali e del paesaggio ed, ancora, il finanziamento di guerre civili, spalleggiando spesso le due parti in conflitto tra di loro.
Infine, ma solo per motivi d’anagrafe e non d’importanza merita gli onori della gloria e della ribalta civile e politica, Greta Tintin Eleonora Erman Thunberg, nota solo con nome Greta, l’attivista diciasettenne svedese per la sua attività a favore dello sviluppo sostenibile e contro il cambiamento climatico, da cui i detrattori ed i difensori dell’attuale modello di sviluppo hanno coniato il termine “Gretini” per definire i suoi seguaci. Terminologia anche simpatica ma senza dubbio di cattivo gusto e fuorviante: ce ne fossero di… Gretini, altroché! Inoltre, per le manifestazioni che si sono svolte ogni venerdì davanti al Riskdag, il parlamento svedese con lo slogan skolstrejk for klimatet (sciopero scolastico per il clima), da cui è sorto il movimento studentesco internazionale Fridays for future (venerdì per il futuro). Antesignana di Greta può essere considerata la dodicenne canadese Severn Cullis-Suzuki, che nel 1992 tenne un discorso ad una conferenza dell’Onu su questioni ambientali dal punto di vista dei giovani, suscitando grande attenzione e clamore in tutto il mondo.
Tre storie di donne, tre storie di movimenti e associazioni ambientaliste a testimonianza che ispirandosi al pensiero femminile è possibile percorrere una via altra, fondata sulla condivisione e sulla cooperazione, dando più valore alle persone e non alle cose che si producono. Oltre al dono della maternità, le donne sono dotate di capacità innovatrici nella gestione di relazioni complesse e di avere uno sguardo che va al di là della mera constatazione dello status quo. L’approccio femminile può dare un apporto originale soprattutto nell’affrontare i momenti di crisi, come quelli che stiamo vivendo tutti in seguito alla pandemia, grazie ad una visione che scoraggia i conflitti e tesse le relazioni, ad una logica accogliente e non competitiva e nella capacità di prendersi cura dell’ambiente in generale. In questa maniera è possibile andare oltre la particolarità del singolo ed avere una prospettiva comunitaria e plurale. In una società ancora fortemente patriarcale, in cui gli atavici rapporti di sopraffazione maschilista sono di là da essere sovvertiti, le donne si trovano ad essere relegate in ruoli marginali, spesso sfruttate sul lavoro con paghe più basse pur ricoprendo gli stessi compiti e ruoli dei colleghi maschi ed in famiglia dove continuano a subire violenze di tutti i tipi fino al femminicidio, con una sequela di casi che ogni anno ha dell’obbrobrioso da non accennare a diminuire.
Se dal letame possono nascere fiori parafrasando la famosa canzone del compianto poeta Fabrizio De André, così dalle piante pioniere in ambienti aridi e inospitali possono ricostituirsi humus e trasformarsi in terreno fertile, l’auspicio è che i semi piantati da Vandana, Naomi e Greta possono germogliare anche in ambienti ostili e diffondersi in modo da dare una nuova linfa vitale alla terra, sopraffatta dall’incuria di un sistema economico predatorio che ne ha quasi esaurito le risorse. Per ri-nascere è necessaria la sostenibilità e la sostenibilità è femminile!