Ben 95,3 milioni di persone rischia di essere risucchiato nelle sabbie mobili della povertà o dell’esclusione sociale.
Roma – La corsa ai “discount” è in continua ascesa. Da qualche decennio si stanno affermando in Italia i “discount”, grandi magazzini di vendita al dettaglio, per lo più alimentare, ma anche di altri prodotti, facenti parte della grande distribuzione organizzata (GDO), i cui prezzi sono ridotti grazie ad un limitato assortimento di prodotti di marca e al contenimento delle spese di allestimento e del servizio. I primi discount sono apparsi in Italia negli anni ’80 in maniera alquanto sporadica e poco penetrante. Il primo ingresso significativo fu quello di “Lidl Italia” che si insediò nel 1992 nel nord del Paese.
I prezzi sono più bassi rispetto alle grandi catene di supermercati e, quindi il risparmio è notevole. Negli ultimi anni la corsa ai discount si è accentuata. Da un certo punto di vista il crescente afflusso rappresenta la cartina di tornasole, il termometro del sistema Paese. Cosa deve fare un povero cristo di fronte all’aumento dei prezzi dell’energia, della benzina, dei beni necessari per la famiglia e dell’inflazione che sadica com’è si accanisce con i più poveri, se non cercare di risparmiare, tirando la cinghia? Poiché anche sul cibo si è avvertita la mannaia dell’aumento dei prezzi, ecco spiegato l’affollamento come non mai dei discount.
Sono crollati, infatti gli acquisti di carne e pesce e, al contempo, cresciuti quelli ai discount, dove si è più orientati al risparmio piuttosto che al canale di acquisti. Spesso, per molti sono una vera e propria ancora di salvezza, un’oasi nel …deserto finanziario in cui vivono. Nel “Rapporto Coop2023-Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani”, è emerso che il 90% dei consumatori hanno cambiato stile di vita, riducendo gli sprechi. Inoltre, il 63% si reca più spesso al discount per fare la spesa. Questi dati sono stati confermati dallo studio “Nuove sfide e scenari evolutivi per l’agricoltura italiana”, a cura di Nomisma (società di consulenza economica, con sede a Bologna) per conto della CIA (Confederazione Italiana Agricoltura). Rispetto alla media europea gli italiani hanno manifestato più timore a causa dell’inflazione, per la povertà e per la guerra. Il 51% vive una situazione di disagio economico, contro il 45% della media europea. La crisi si manifesta, soprattutto, sul consumo dei prodotti alimentari. Infatti, in tanti hanno cambiato registro, dando un taglio netto al superfluo.
In calo è risultato il consumo di carni rosse, pesce, vino e salumi. Un quinto soltanto del campione non rinuncia alla qualità, evidentemente se lo può permettere. Di contro, i discount sono cresciuti del 12%. Il tasso di povertà non accenna a diminuire. Ci sono ben 2,2 milioni di famiglie che vivono in assoluta povertà, pari a 5,7 milioni di persone. Numeri in crescita dello 0,6% rispetto al 2021. Inoltre la precarietà lavorativa ha provocato un mutamento della povertà. Non è legata, infatti, solo al lavoro, ma anche a quello cosiddetto povero. Si parla di 3 milioni di lavoratori, che pur percependo un reddito, non arrivano a fine mese. Fino a quando ci sono buste paga di 4,50/5 euro l’ora, i risultati non possono essere che essere questi.
I dati diffusi da Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, fanno accapponare la pelle: ci sono ben 95,3 milioni di persone a forte rischio di essere risucchiati nelle sabbie mobili della povertà o dell’esclusione sociale, ovvero il 21,6% della popolazione! Ma le istituzioni politiche nazionali ed europee fanno orecchie da mercante. Per loro è più importante aumentare la spesa per gli armamenti, che sconfiggere la povertà. In Italia, la politica pensa solo a fare affari, come nel caso dell’ultimo scandalo dell’Anas, in cui alcune ditte, appartenenti ad una certa cricca avrebbero avuto informazioni riservate per vincere le gare d’appalto. I poveri? Possono anche… crepare!